martedì, Dicembre 3, 2024

Il Rapporto invalsi 2023: i problemi sono strutturali, ma le soluzioni no

Il Ministro dell’Istruzione e del Merito ha presentato i risultati dell’indagine INVALSI dando ampio spazio a quello che appare il problema principale del sistema d’istruzione, ovvero il divario Nord/Sud nei risultati di apprendimento. La natura di questo divario e l’esistenza di altre criticità che pure emergono da questo resoconto sono passate in secondo piano o non sono state nominate.

Alcune considerazioni.

Una premessa, l’INVALSI (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema d’Istruzione) ha origine con la riforma Berlinguer del 1999 che si colloca nell’ambito delle riforme del sistema pubblico di stampo neoliberista definite “New Public Management”, il cui obiettivo era quello di adeguare la gestione degli Enti Pubblici al modello della gestione aziendale e agli equilibri di mercato. Per fare questo, si è ritenuto necessario legare il lavoro degli uffici a degli indicatori di performance e affidare ai dirigenti il raggiungimento di obiettivi valutabili su questa base. L’INVALSI non a caso fa il paio con l’autonomia delle scuole e con l’istituzione del Dirigente Scolastico. Quindi, lungi dall’essere il termometro del sistema scolastico come spesso viene presentato, risponde ad una volontà di governo neoliberista che va decostruita.

Innanzitutto, i dati prodotti dall’INVALSI non possono avere la validità peculiare delle indagini censuarie, anche se le prove sono svolte da tutta la popolazione scolastica. Infatti, i dati rilevati dai censimenti sono scarsamente legati alle performance degli intervistati, a differenza di un test che può risentire delle variabili legate alla situazione e al momento in cui sono stati raccolti. L’ambizione dell’INVALSI, invece, sarebbe quella di censire gli apprendimenti dei singoli fornendo a Università e imprese il curriculum della vita scolastica di ogni singolo studente italiano (vedi la proposta delBadgeINVALSI; 121).

Questa posizione, che sembra prefigurare la pretesa di sostituirsi agli insegnanti, ovviamente non considera gli aspetti formativi della valutazione e produce un dispositivo di controllo dagli evidenti caratteri distopici. D’altra parte, è del tutto coerente con l’ideologia neoliberista che non riconosce le disuguaglianze strutturali della società riversandole sui singoli individui in una pretesa di implementazione continua di sé (il capitale umano), oppure le attribuisce alle singole istituzioni scolastiche secondo la logica delbenchmarkingaziendale e dei piani di aggiustamento per migliorare le performance.

C’è anche un problema di trasparenza di questi test dato che gli ultimi pubblicati risalgono al 2018. In ogni caso, da quanto si può reperire in rete è evidente che la presunta neutralità scientifica corrisponde ad una selezione culturale che inevitabilmente ha una funzione di rispecchiamento per le classi sociali più elevate che tendenzialmente frequentano i licei, mentre risulta estranea alle altre classi sociali. Le domande di grammatica o il test di matematica, lungi dall’essere delle competenze astratte e generalizzate, presuppongono dei curricula scolastici che appartengono ad alcuni istituti e non ad altri, come è evidente nel caso dei risultati della prova di matematica per i licei scientifici (INVALSI; 66). Lo stesso vale per le scelte lessicali: un test di comprensione basato sui protocolli di una macchina a controllo numerico metterebbe in difficoltà il miglior liceale, ma forse troverebbe più corrispondenza tra gli studenti dei tecnici e professionali.

Dato che questa neutralità non esiste, forse, un sistema scolastico che si ponga l’obiettivo di contribuire alla realizzazione dei compiti costituzionali affidati all’istruzione, avrebbe bisogno di informazioni più partigiane sugli effetti della scuola sulle nuove generazioni. Per esempio, porsi il problema di capire quanto diffusa sia la consapevolezza dei diritti, in particolare di quelli del lavoro (che continua ad essere iper-sfruttato), oppure la consapevolezza sull’entità e le ragioni della crisi ecologica, o la capacità di riconoscere gli stereotipi della violenza di genere o del razzismo. Elementi che permettano di orientare il lavoro degli insegnanti senza indurli alla logica delle performance.

Una lettura critica

Pur mantenendo ferme le critiche esposte e considerando l’attuale INVALSI un ente non riformabile, vorrei provare una lettura di questo rapporto che prenda in considerazione alcune evidenze che riguardano gli aspetti più generali della scuola e della società italiana. Questioni che di fatto già conoscevamo e che la megamacchina dei test fa apparire, seppure nella chiave neoliberista di cui sopra. Da questo punto di vista, potremmo dire che il sistema scolastico italiano si presenta ancora nella sua funzione fondamentale di riproduzione sociale, ovvero il processo attraverso il quale nelle nuove generazioni la struttura dei rapporti di forza tra le classi viene accettata come qualcosa di cui sono responsabili solo i singoli, per i loro meriti e demeriti (Bourdieu,La riproduzione sociale).

La prima considerazione da fare è che per i test relativi alle scuole primarie gli estensori stessi sottolineano l’omogeneità di risultati nel test di italiano e evidenziano una certa eterogeneità in quelli di matematica (INVALSI; 12, 20). Infatti, si possono notare alcune regioni che si differenziano in negativo tra cui Valle d’Aosta, Sicilia, Calabria e la provincia di Bolzano (INVALSI; 13, 17 e 20), e in positivo, per esempio quelle del Sud per i risultati in matematica di quinta elementare (INVALSI; 25). Le difficoltà di regioni come Sicilia e Calabria sono già evidenti, ma la divaricazione strutturale del sistema compare in modo chiaro solo con i risultati di terza media (INVALSI; 38 e 43). Qui possiamo vedere le polarizzazioni in base al territorio (Nord/Sud), al benessere economico, alla nazionalità e al genere. Le ragazze, infatti, hanno risultati migliori nei test di italiano e i ragazzi in quelli di matematica.

Seconda considerazione, la classe sociale di appartenenza pesa molto fin dalle elementari (INVALSI; 20) e prosegue influenzando i risultati positivi lungo tutto il percorso scolastico. In terza media, chi appartiene ad una fascia sociale elevata ha il doppio di possibilità di ottenere risultati eccellenti rispetto a chi dichiara una fascia bassa e 6 volte in più rispetto a chi non ha dichiarato il livello economico e che si ritiene, quindi, appartenere ad un livello basso (INVALSI; 119). La stessa cosa vale anche per la quinta superiore (INVALSI; 120). La situazione si ribalta rispetto ai risultati più bassi, cioè quelli che INVALSI definisce di dispersione implicita e che corrispondono al raggiungimento dei livelli 1 e 2. Chi si attesta su questi livelli ha il doppio di probabilità di appartenere a una fascia sociale bassa rispetto ad una alta e 5 volte per quanto riguarda chi non ha dichiarato il dato.

Altra evidenza è lo stato di abbandono degli alunni e alunne migranti i cui risultati nelle prove di italiano e matematica in terza media sono significativamente al di sotto delle aspettative (INVALSI; 38 e 43), ma potenzialmente potrebbero raggiungere risultati migliori se aiutati, dato che nelle prove di inglese hanno risultati buoni (INVALSI; 50). Non va sottovalutato, infatti, che anche per svolgere i compiti di matematica è necessaria un’adeguata comprensione della lingua in cui sono presentati.

Un altro aspetto molto evidente è la divaricazione dei risultati alle scuole superiori tra gli indirizzi di studi. In parte, come già detto, l’effetto è intrinseco agli stessi test, d’altra parte la differenza è così evidente da porre comunque un problema riguardo ai livelli minimi accettabili per un sistema di istruzione. Per esempio, in seconda superiore, solo il 28% degli studenti dei professionali raggiunge almeno il livello della sufficienza (INVALSI; 62). La polarizzazione diventa ancora più evidente se si confrontano i dati degli studenti che frequentano i licei del Nord con quelli dei professionali del Sud e Isole, rispettivamente il 92% e il 16% (INVALSI; 60 e 62).

A rinforzare il quadro c’è il problema dell’abbandono scolastico che è collegato ai bassi livelli raggiunti nelle prove degli anni precedenti. Si tratta del 10,4% degli alunni (57.419 ragazze/i) che hanno sostenuto l’esame di terza media nel 2018 (a cui si aggiunge un 4,9% che è passato al sistema regionale della Formazione professionale). Nell’intenzione degli estensori il dato evidenzia il carattere predittivo delle prove INVALSI (INVALSI; 128). Quello che, però, non è ricordato qui è la correlazione tra bassi risultati e difficoltà economiche della famiglia, che forse spiega meglio anche le cause dell’abbandono.

Infine, possiamo concordare con l’INVALSI nel dire che la didattica a distanza ha lasciato il segno, dato che tutti i risultati di italiano e matematica di tutti i gradi scolastici mostrano dei punteggi in calo negli ultimi due anni. Ciò la dice lunga sui rischi di quella che oggi viene propagandata come scuola 4.0.

Proposte.

La descrizione del sistema scolastico così tratteggiata presenta un paese profondamente stratificato, in cui le disuguaglianze sembrano riproporre una società ottocentesca. Se ciò può apparire eccessivo, dipende forse dalla scomparsa dei temi della povertà dal dibattito pubblico italiano.

Come spiega Chiara Saraceno, l’attuale regime di povertà italiano, dovuto al particolare intreccio tra mercato del lavoro, politiche di welfare e famiglia, fa ricadere la maggiore probabilità di povertà sui giovani, sulle famiglie con più figli (in particolare al Sud) e, quindi, sui minorenni, l’11% dei quali vive in condizione di povertà assoluta (Saraceno; 197). Chi nasce nel Sud Italia ha il 300% di possibilità in più di sperimentare la povertà e questa condizione viene trasmessa ai figli. Secondo l’autrice, le differenze tra regioni riguardo alla povertà minorile “sono più profonde delle differenze tra adulti e risalgono alla seconda metà del XIX secolo” (Saraceno; 139). Anche i migranti cominciano a rappresentare un numero significativo dei poveri italiani proprio a causa del loro processo di integrazione, nella misura in cui formano famiglie con più figli e l’unico percettore di reddito svolge lavori poco qualificati (Saraceno; 41). La cosiddetta “povertà educativa” corrisponde, quindi, alla povertà tout court e ciò era evidenziato anche dai test OCSE-PISA del 2015 (Saraceno; 146).

Ben vengano, quindi, gli annunciati asili nido nel Sud Italia. Ma, anche ammesso che vengano costruiti in numero sufficiente, ciò non basterà se non si consente alle famiglie con redditi bassi di accedervi gratuitamente (attualmente infatti sono utilizzati per lo più dalle famiglie di classe media). Inoltre, per liberare i minori dalla povertà sarebbe necessario ripristinare un Reddito di cittadinanza adeguato e universale e dei sostegni strutturali alle famiglie con figli. Mentre il dibattito italiano su questi aspetti si è avvitato sul distinguere tra poveri meritevoli e non meritevoli e quindi sul tipo di ricatto a cui sottoporli per dividere i primi dai secondi.

Venendo agli aspetti strettamente scolastici, non si può non ricordare l’effetto delle riforme degli ultimi anni nel determinare la situazione attuale. Il tempo pieno della scuola elementare di cui timidamente si riparla oggi, è stato oggetto di tagli feroci nell’epoca Moratti-Fioroni-Gelmini.

L’introduzione dell’insegnante di italiano L2 per gli studenti Neo Arrivati in Italia è stata rapidamente abortita dallo stesso governo Renzi che l’aveva proposta. La riforma dei professionali che avrebbe dovuto rinnovare profondamente l’insegnamento secondo le ultime innovazioni della didattica per competenze si è tradotta in un impoverimento educativo determinato dal taglio generalizzato delle ore di scuola e da una burocratizzazione spinta dei percorsi didattici. Tutto a vantaggio dei padroni che richiedono una forza-lavoro flessibile e poco formata.

Per rispondere a questa situazione, il Ministro “del Merito” e il presidente dell’INVALSI propongono “l’Agenda Sud”. Un piano di investimenti di 2,5 mld che durerà solo due anni e prevede l’individuazione di 240 scuole del Sud Italia (nel frattempo diventate 150), scelte sulla base dei risultati deludenti ai test INVALSI. L’obiettivo sarebbe quello di combattere la dispersione scolastica, ma i fondi dedicati a questa voce (255 mln) sono tre volte meno di quelli pensati per il digitale (693 mln). In questi due anni, le scuole saranno investite da un processo di riorganizzazione che prevede come risorse aggiuntive: “ben” 4 insegnanti in più a scuola (ma solo di italiano, matematica o inglese). Promesse di aperture pomeridiane, ma con progetti estemporanei pagati con risorse aggiuntive (niente a che vedere, quindi, con il modello della scuola a tempo pieno). E poi, tanta formazione insegnanti targata INVALSI per far migliorare gli studenti nei test. Quando quei punteggi saliranno, Ministero e INVALSI potranno dire di avere risolto il problema.

Matteo Vescovi  Esecutivo Nazionale Scuola

Bibliografia

Bourdieu P. “La riproduzione sociale” 1974

Cesp – Centro Studi Scuola Pubblica, “I test INVALSI: contributi ad una lettura critica ” 2013

DelRey A., “La tirannia della valutazione” Eleutheria 2018

INVALSI rapporto 2023 https://invalsi-areaprove.cineca.it/docs/2023/Rilevazioni_Nazionali/Rapporto/Rapporto%20Prove%20INVALSI%202023.pdf

Saraceno C., La povertà in Italia, Il Mulino 2022

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