sabato, Luglio 12, 2025

CONVIVENDO CON IL TERREMOTO Editoriale COBAS n.18/’24

Tre anni dopo la caduta del Muro di Berlino e il conseguente tracollo dellโ€™impero sovietico e del โ€œsocialismo realeโ€œ in Europa, Francis Fukuyama, politologo statunitense, raggiunse una immeritata fama mondiale con il suo libro โ€œLa fine della storia e lโ€™ultimo uomoโ€. In esso, Fukuyama sosteneva che la vittoria del capitalismo sul socialismo/comunismo e delle democrazie liberali sui regimi dittatoriali, nonchรฉ la diffusione universale dello stile di vita e della cultura โ€occidentaleโ€, segnavano il punto di arrivo dellโ€™evoluzione sociale e politica dellโ€™umanitร , delineando una struttura definitiva di governo del mondo, e con essa anche la fine della storia delle comunitร  umane, cosรฌ come conosciuta nei secoli passati, e provocando una permanente pacificazione universale.. La tesi era surreale di per sรฉ, ma Fukuyama e i suoi seguaci ed estimatori dovettero attendere una decina di anni per vedere demolita la propria tesi da fatti โ€œstoriciโ€ piรน che mai โ€œviviโ€: a settembre 2001, gli attentati islamisti contro le Twin Towers avviavano un ciclo di micidiali conflitti planetari che dallโ€™Afghanistan allโ€˜Iraq ci fecero dire, con la mobilitazione mondiale del movimento โ€œnoglobalโ€, che eravamo entrati nella guerra permanente e globale.

Eppure, persino quegli sconvolgimenti oggi quasi scoloriscono rispetto a quello che il mondo, quello โ€œoccidentaleโ€ in particolare, ha subito nellโ€™ultimo quindicennio. Prima un triennio (2008-2011) di crisi economica globale, seconda solo alla Grande Depressione del 1929, che ha impoverito  centinaia di milioni di persone; poi, un altro triennio devastante, con la piรน grande pandemia degli ultimi secoli (dopo la โ€œspagnolaโ€ del 1918-1920), con milioni di morti e una crisi sociale che ha sconvolto e diviso strutture consolidate, dalle famiglie alle organizzazioni sindacali e politiche, logorando rapporti e relazioni in maniera imprevedibile. E quando sembrava che fosse โ€œpassata โ€˜a nuttataโ€, e la vita, almeno nel mondo โ€œoccidentaleโ€, riprendesse un corso regolare, esplodeva una guerra feroce nel cuore dellโ€™Europa, con lโ€™aggressione del neo-zarismo russo allโ€™Ucraina, che – sottovalutando la  determinazione del nazionalismo ucraino e lโ€™ingresso in campo a suo sostegno degli Stati Uniti, della Nato e della UE -, commentatori politici e buona parte della โ€œcompagneriaโ€ italica, valutarono di breve durata (invitando gli ucraini ad โ€œarrendersiโ€ per limitare i danni) e di cui invece ancor oggi non si vede una prevedibile fine. Infine, come se questo elenco di sciagure non fosse giร  sufficiente ad oscurare le prospettive di una accettabile vita sociale per tanta parte dellโ€™umanitร , con modalitร  altrettanto imprevedibili ri-esplodeva, a livelli inauditi, il conflitto Israele-Palestina.

Scrive in questo numero Giovanni Bruno in โ€œLa negazione del popolo palestineseโ€, condannando la pulizia etnica sionista, il fondamentalismo pan-islamico e il nazionalismo pan-arabo, alleati di fatto contro i diritti dei palestinesi e concause della esplosione di ferocia bellica: โ€œAl durissimo atto terroristico organizzato il 7 ottobre da Hamas – in parte eterodiretto per sabotare gli Accordi di Abramo tra le petro-monarchie arabe e Israele – con il massacro di civili (donne bambini anziani), gli stupri di massa e la cattura di ostaggi, Israele ha risposto con una campagna di sterminio  contro Hamas, colpendo indiscriminatamente e senza pietร  la popolazione civile di Gaza โ€œreaโ€ di aver (volontariamente o inconsapevolmente) coperto le sedi di Hamas, nascosto i depositi militari negli edifici civili (ospedali, scuole) e appoggiato il lancio di razzi contro gli insediamenti (illegittimi, secondo il diritto internazionale) dei coloni. I risultati di questi 110 giorni di guerra sono di circa 25mila morti, di cui oltre 11mila bambini, e un milione di  profughi nel campo di Rafahโ€.

Possiamo a buona ragione dire che anche i popoli โ€œoccidentaliโ€, che non subiscono direttamente la ferocia bellica, sono oramai costretti a vivere in una sorta di terremoto permanente che segna inesorabilmente la vita sociale nei nostri paesi e che deforma i rapporti di potere tra le classi e i ceti e la stessa conflittualitร  economica e politica. La metafora del terremoto prende tanto piรน corpo in ragione della impotenza di fronte alle barbarie in atto, constatando che, a differenza che durante la guerra in Vietnam e, in tempi piรน vicini, in Afghanistan e Iraq – quando le mobilitazioni di decine di milioni di persone influenzarono tempi e modi bellici – oggi lโ€™incidenza dei pur generosi tentativi di protesta contro la guerra appare minima,  non solo per la drastica riduzione numerica dei manifestanti ma anche per lโ€™impermeabilitร  alle proteste da parte dei belligeranti. (Per non parlare delle guerre ignorate dai media ma altrettanto feroci, come quella in corso nel Darfur sudanese, dove la maggioranza arabo/islamista massacra decine di migliaia di persone della minoranza etnicamente africana, ammazzando i neri in quanto neri e violentando in massa le donne nere per avere,come dichiarato, โ€œcentinaia di migliaia di neonati meno neriโ€).

Cosicchรฉ, obbligati/e a convivere con tale terremoto, diventa piรน difficile portare lโ€™attenzione sul peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro di tanta parte della nostra popolazione, e difendere i diritti e il reddito dei lavoratori/trici, nonchรฉ le strutture pubbliche cruciali come la Scuola, la Sanitร , i Trasporti e le Comunicazioni, malgrado ce ne siano tutte le necessitร , a partire dal nostro storico insediamento sociale e sindacale, la Scuola, ove si stanno assommando provvedimenti esiziali per lโ€™istruzione pubblica e deleteri per docenti, ATA e studenti. A partire dal provvedimento piรน distruttivo, quellโ€™Autonomia differenziata approvata nei giorni scorsi al Senato, che porterebbe alla frantumazione del sistema nazionale di istruzione (cosรฌ come del sistema sanitario), aggredendo lโ€™uguaglianza dei diritti e la libertร  di insegnamento, e subordinerebbe la scuola alle scelte politiche ed economiche localistiche, visto che tutte le materie, ora di competenza  statale, passerebbero alle Regioni, con il trasferimento ad esse delle risorse umane e finanziarie, e con progetti dipendenti dalle esigenze produttive locali. E proseguendo con lโ€™invenzione gerarchizzante del tutor orientatore degli studenti e con il demenziale โ€œdimensionamentoโ€, che, invece di approfittare del calo demografico per ridurre il numero di alunni/e per classe e aumentare la presenza della scuola nel territorio, fa il contrario, insistendo nellโ€™accorpare scuole in mega-istituti, impossibili da gestire; e poi lโ€™ulteriore aumento dei finanziamenti per le scuole paritarie, mentre diminuisce la spesa per le pubbliche; e in aggiunta, il grottesco progetto โ€œautarchicoโ€ del Liceo del Made in Italy e un contratto che immiserisce ulteriormente docenti ed ATA, mentre a questi ultimi tocca pure un aumento dei carichi di lavoro e della precarietร ; e ancora, la volontร  di ridurre gli anni di scolaritร  per i Tecnici e Professionali e un Concorso precari che, come titola lโ€™articolo di Ciarlariello, finge di โ€œcambiare tutto per lasciare le cose come stannoโ€, invece di svuotare il bacino amplissimo del precariato.

Insomma, ci sarebbero vulnus (che i lettori/trici troveranno analizzati ampiamente negli articoli di questo numero) alla scuola pubblica e ai suoi protagonisti non inferiori a quelli delle riforme Berlinguer, Moratti, Gelmini, Renzi. Solo che, oltre ad essere uscite dalla scuola le generazioni allenate ai conflitti sociali degli anni โ€™60 e โ€™70, lorsignori ora praticano il trucco delle controriforme a pezzi: e cioรจ, invece di offrire alla contestazione e al conflitto provvedimenti globali, operano con vari pezzi di dannositร  distribuiti nel tempo. Certo, non sono mancati in questi mesi proteste e iniziative locali, anche significative, ma non si รจ riusciti a coagularle in una lotta a carattere generale.

Non che nel resto del Lavoro dipendente le cose vadano in maniera rosea. Purtuttavia, negli ultimi mesi, in vari settori del Lavoro privato come COBAS abbiamo dato un contributo importante a scioperi e mobilitazioni, dal Trasporto urbano e dalle proteste per il contratto degli autoferrotranvieri alla lotta strenua dei lavoratori/trici TIM per evitare lo smembramento e la svendita di una risorsa nazionale e pilastro delle Telecomunicazioni, passando per i conflitti del Commercio e della Logistica fino a quelli delle Poste contro la privatizzazione e dei lavoratori/trici degli appalti nella Pubblica Amministrazione per la internalizzazione. In tutti questi casi (sui quali troverete ampi resoconti negli articoli di questo numero) ha certamente giocato un ruolo favorevole il differente peso di pressione che si puรฒ esercitare laddove lo sciopero provoca effettivi danni alla controparte, come ad esempio nella Logistica e nel Commercio, dove unโ€™interruzione del lavoro causa perdite economiche ingenti nei grandi centri commerciali e supermercati, non recuperabili nei giorni successivi.

Resta perรฒ il fatto che a limitare la portata di tali conflitti opera lโ€™assoluta sorditร  del governo nei confronti delle rivendicazioni del Lavoro dipendente, in contrasto invece con la disponibilitร  dimostrata nei riguardi di stabilimenti balneari, agricoltori, ambulanti, tassisti ecc. Dโ€™altra parte, le sorti e le โ€œfortuneโ€ del governo Meloni sono paradossali. Speravamo che lโ€™arrivo del governo piรน a destra della storia della Repubblica avrebbe almeno provocato un processo di unitร , o almeno di alleanza, tra le forze conflittuali sociali, sindacali e politiche italiane. Ma tale processo non si รจ realizzato e le lotte, pur presenti, continuano a procedere separatamente e localmente, senza sintesi o confluenze importanti. In piรน, il governo Meloni puรฒ avvalersi dellโ€™inconsistenza dellโ€™opposizione parlamentare e istituzionale, irreparabilmente divisa, con un PD che nulla ha tratto dalla โ€œnovitร  Schleinโ€ e lo sconcertante M5S di un Conte che nel suo trasformismo da record cerca di far credere (e ancora un bel poโ€™ di italiani/e gli danno retta) di essere, in quanto โ€œpacifistaโ€ e โ€œlottatore socialeโ€, a sinistra del PD e a destra di Meloni in quanto sovranista. Per giunta, con abilitร  camaleontica, Meloni ha rovesciato del tutto la piattaforma internazionale di Fratelli dโ€™Italia โ€“ basata , quando era allโ€™opposizione, sul sovranismo integrale, lโ€™antieuropeismo, i legami stretti con lโ€™estrema destra europea, la sintonia con Putin e Trump โ€“ disinnescando la prevedibile ostilitร  dellโ€™establishment politico ed economico โ€œoccidentaleโ€, venendo ora vista addirittura come una garanzia di stabilitร  (in particolare dopo lโ€™appoggio totale allโ€™Ucraina e a Israele) per lโ€™Occidente.

Insomma, se il governo Meloni entrerร  in crisi, non dipenderร  di certo dallโ€™opposizione parlamentare in Italia o dalla UE, dagli USA o dai mercati finanziari, e neanche dagli alleati della Lega e Forza Italia, troppo deboli per contrastare davvero Meloni. Solo lโ€™ingresso in campo di un movimento popolare convergente, di cui per la veritร  non si vedono per ora significative avvisaglie, potrebbe cambiare la situazione: e noi COBAS, pur consapevoli delle nostre forze e dimensioni, continueremo a lavorare per unโ€™ampia coalizione che dia corpo a questa possibilitร .

Piero Bernocchi

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