Tre anni dopo la caduta del Muro di Berlino e il conseguente tracollo dellโimpero sovietico e del โsocialismo realeโ in Europa, Francis Fukuyama, politologo statunitense, raggiunse una immeritata fama mondiale con il suo libro โLa fine della storia e lโultimo uomoโ. In esso, Fukuyama sosteneva che la vittoria del capitalismo sul socialismo/comunismo e delle democrazie liberali sui regimi dittatoriali, nonchรฉ la diffusione universale dello stile di vita e della cultura โoccidentaleโ, segnavano il punto di arrivo dellโevoluzione sociale e politica dellโumanitร , delineando una struttura definitiva di governo del mondo, e con essa anche la fine della storia delle comunitร umane, cosรฌ come conosciuta nei secoli passati, e provocando una permanente pacificazione universale.. La tesi era surreale di per sรฉ, ma Fukuyama e i suoi seguaci ed estimatori dovettero attendere una decina di anni per vedere demolita la propria tesi da fatti โstoriciโ piรน che mai โviviโ: a settembre 2001, gli attentati islamisti contro le Twin Towers avviavano un ciclo di micidiali conflitti planetari che dallโAfghanistan allโIraq ci fecero dire, con la mobilitazione mondiale del movimento โnoglobalโ, che eravamo entrati nella guerra permanente e globale.
Eppure, persino quegli sconvolgimenti oggi quasi scoloriscono rispetto a quello che il mondo, quello โoccidentaleโ in particolare, ha subito nellโultimo quindicennio. Prima un triennio (2008-2011) di crisi economica globale, seconda solo alla Grande Depressione del 1929, che ha impoverito centinaia di milioni di persone; poi, un altro triennio devastante, con la piรน grande pandemia degli ultimi secoli (dopo la โspagnolaโ del 1918-1920), con milioni di morti e una crisi sociale che ha sconvolto e diviso strutture consolidate, dalle famiglie alle organizzazioni sindacali e politiche, logorando rapporti e relazioni in maniera imprevedibile. E quando sembrava che fosse โpassata โa nuttataโ, e la vita, almeno nel mondo โoccidentaleโ, riprendesse un corso regolare, esplodeva una guerra feroce nel cuore dellโEuropa, con lโaggressione del neo-zarismo russo allโUcraina, che – sottovalutando la determinazione del nazionalismo ucraino e lโingresso in campo a suo sostegno degli Stati Uniti, della Nato e della UE -, commentatori politici e buona parte della โcompagneriaโ italica, valutarono di breve durata (invitando gli ucraini ad โarrendersiโ per limitare i danni) e di cui invece ancor oggi non si vede una prevedibile fine. Infine, come se questo elenco di sciagure non fosse giร sufficiente ad oscurare le prospettive di una accettabile vita sociale per tanta parte dellโumanitร , con modalitร altrettanto imprevedibili ri-esplodeva, a livelli inauditi, il conflitto Israele-Palestina.
Scrive in questo numero Giovanni Bruno in โLa negazione del popolo palestineseโ, condannando la pulizia etnica sionista, il fondamentalismo pan-islamico e il nazionalismo pan-arabo, alleati di fatto contro i diritti dei palestinesi e concause della esplosione di ferocia bellica: โAl durissimo atto terroristico organizzato il 7 ottobre da Hamas – in parte eterodiretto per sabotare gli Accordi di Abramo tra le petro-monarchie arabe e Israele – con il massacro di civili (donne bambini anziani), gli stupri di massa e la cattura di ostaggi, Israele ha risposto con una campagna di sterminio contro Hamas, colpendo indiscriminatamente e senza pietร la popolazione civile di Gaza โreaโ di aver (volontariamente o inconsapevolmente) coperto le sedi di Hamas, nascosto i depositi militari negli edifici civili (ospedali, scuole) e appoggiato il lancio di razzi contro gli insediamenti (illegittimi, secondo il diritto internazionale) dei coloni. I risultati di questi 110 giorni di guerra sono di circa 25mila morti, di cui oltre 11mila bambini, e un milione di profughi nel campo di Rafahโ.
Possiamo a buona ragione dire che anche i popoli โoccidentaliโ, che non subiscono direttamente la ferocia bellica, sono oramai costretti a vivere in una sorta di terremoto permanente che segna inesorabilmente la vita sociale nei nostri paesi e che deforma i rapporti di potere tra le classi e i ceti e la stessa conflittualitร economica e politica. La metafora del terremoto prende tanto piรน corpo in ragione della impotenza di fronte alle barbarie in atto, constatando che, a differenza che durante la guerra in Vietnam e, in tempi piรน vicini, in Afghanistan e Iraq – quando le mobilitazioni di decine di milioni di persone influenzarono tempi e modi bellici – oggi lโincidenza dei pur generosi tentativi di protesta contro la guerra appare minima, non solo per la drastica riduzione numerica dei manifestanti ma anche per lโimpermeabilitร alle proteste da parte dei belligeranti. (Per non parlare delle guerre ignorate dai media ma altrettanto feroci, come quella in corso nel Darfur sudanese, dove la maggioranza arabo/islamista massacra decine di migliaia di persone della minoranza etnicamente africana, ammazzando i neri in quanto neri e violentando in massa le donne nere per avere,come dichiarato, โcentinaia di migliaia di neonati meno neriโ).
Cosicchรฉ, obbligati/e a convivere con tale terremoto, diventa piรน difficile portare lโattenzione sul peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro di tanta parte della nostra popolazione, e difendere i diritti e il reddito dei lavoratori/trici, nonchรฉ le strutture pubbliche cruciali come la Scuola, la Sanitร , i Trasporti e le Comunicazioni, malgrado ce ne siano tutte le necessitร , a partire dal nostro storico insediamento sociale e sindacale, la Scuola, ove si stanno assommando provvedimenti esiziali per lโistruzione pubblica e deleteri per docenti, ATA e studenti. A partire dal provvedimento piรน distruttivo, quellโAutonomia differenziata approvata nei giorni scorsi al Senato, che porterebbe alla frantumazione del sistema nazionale di istruzione (cosรฌ come del sistema sanitario), aggredendo lโuguaglianza dei diritti e la libertร di insegnamento, e subordinerebbe la scuola alle scelte politiche ed economiche localistiche, visto che tutte le materie, ora di competenza statale, passerebbero alle Regioni, con il trasferimento ad esse delle risorse umane e finanziarie, e con progetti dipendenti dalle esigenze produttive locali. E proseguendo con lโinvenzione gerarchizzante del tutor orientatore degli studenti e con il demenziale โdimensionamentoโ, che, invece di approfittare del calo demografico per ridurre il numero di alunni/e per classe e aumentare la presenza della scuola nel territorio, fa il contrario, insistendo nellโaccorpare scuole in mega-istituti, impossibili da gestire; e poi lโulteriore aumento dei finanziamenti per le scuole paritarie, mentre diminuisce la spesa per le pubbliche; e in aggiunta, il grottesco progetto โautarchicoโ del Liceo del Made in Italy e un contratto che immiserisce ulteriormente docenti ed ATA, mentre a questi ultimi tocca pure un aumento dei carichi di lavoro e della precarietร ; e ancora, la volontร di ridurre gli anni di scolaritร per i Tecnici e Professionali e un Concorso precari che, come titola lโarticolo di Ciarlariello, finge di โcambiare tutto per lasciare le cose come stannoโ, invece di svuotare il bacino amplissimo del precariato.
Insomma, ci sarebbero vulnus (che i lettori/trici troveranno analizzati ampiamente negli articoli di questo numero) alla scuola pubblica e ai suoi protagonisti non inferiori a quelli delle riforme Berlinguer, Moratti, Gelmini, Renzi. Solo che, oltre ad essere uscite dalla scuola le generazioni allenate ai conflitti sociali degli anni โ60 e โ70, lorsignori ora praticano il trucco delle controriforme a pezzi: e cioรจ, invece di offrire alla contestazione e al conflitto provvedimenti globali, operano con vari pezzi di dannositร distribuiti nel tempo. Certo, non sono mancati in questi mesi proteste e iniziative locali, anche significative, ma non si รจ riusciti a coagularle in una lotta a carattere generale.
Non che nel resto del Lavoro dipendente le cose vadano in maniera rosea. Purtuttavia, negli ultimi mesi, in vari settori del Lavoro privato come COBAS abbiamo dato un contributo importante a scioperi e mobilitazioni, dal Trasporto urbano e dalle proteste per il contratto degli autoferrotranvieri alla lotta strenua dei lavoratori/trici TIM per evitare lo smembramento e la svendita di una risorsa nazionale e pilastro delle Telecomunicazioni, passando per i conflitti del Commercio e della Logistica fino a quelli delle Poste contro la privatizzazione e dei lavoratori/trici degli appalti nella Pubblica Amministrazione per la internalizzazione. In tutti questi casi (sui quali troverete ampi resoconti negli articoli di questo numero) ha certamente giocato un ruolo favorevole il differente peso di pressione che si puรฒ esercitare laddove lo sciopero provoca effettivi danni alla controparte, come ad esempio nella Logistica e nel Commercio, dove unโinterruzione del lavoro causa perdite economiche ingenti nei grandi centri commerciali e supermercati, non recuperabili nei giorni successivi.
Resta perรฒ il fatto che a limitare la portata di tali conflitti opera lโassoluta sorditร del governo nei confronti delle rivendicazioni del Lavoro dipendente, in contrasto invece con la disponibilitร dimostrata nei riguardi di stabilimenti balneari, agricoltori, ambulanti, tassisti ecc. Dโaltra parte, le sorti e le โfortuneโ del governo Meloni sono paradossali. Speravamo che lโarrivo del governo piรน a destra della storia della Repubblica avrebbe almeno provocato un processo di unitร , o almeno di alleanza, tra le forze conflittuali sociali, sindacali e politiche italiane. Ma tale processo non si รจ realizzato e le lotte, pur presenti, continuano a procedere separatamente e localmente, senza sintesi o confluenze importanti. In piรน, il governo Meloni puรฒ avvalersi dellโinconsistenza dellโopposizione parlamentare e istituzionale, irreparabilmente divisa, con un PD che nulla ha tratto dalla โnovitร Schleinโ e lo sconcertante M5S di un Conte che nel suo trasformismo da record cerca di far credere (e ancora un bel poโ di italiani/e gli danno retta) di essere, in quanto โpacifistaโ e โlottatore socialeโ, a sinistra del PD e a destra di Meloni in quanto sovranista. Per giunta, con abilitร camaleontica, Meloni ha rovesciato del tutto la piattaforma internazionale di Fratelli dโItalia โ basata , quando era allโopposizione, sul sovranismo integrale, lโantieuropeismo, i legami stretti con lโestrema destra europea, la sintonia con Putin e Trump โ disinnescando la prevedibile ostilitร dellโestablishment politico ed economico โoccidentaleโ, venendo ora vista addirittura come una garanzia di stabilitร (in particolare dopo lโappoggio totale allโUcraina e a Israele) per lโOccidente.
Insomma, se il governo Meloni entrerร in crisi, non dipenderร di certo dallโopposizione parlamentare in Italia o dalla UE, dagli USA o dai mercati finanziari, e neanche dagli alleati della Lega e Forza Italia, troppo deboli per contrastare davvero Meloni. Solo lโingresso in campo di un movimento popolare convergente, di cui per la veritร non si vedono per ora significative avvisaglie, potrebbe cambiare la situazione: e noi COBAS, pur consapevoli delle nostre forze e dimensioni, continueremo a lavorare per unโampia coalizione che dia corpo a questa possibilitร .
Piero Bernocchi