I Centri Provinciali di Istruzione degli Adulti (CPIA) nelle Nuove Indicazioni Nazionali. Nelle Premesse culturali alle Indicazioni Nazionali per la Scuola dell’Infanzia e del primo ciclo d’istruzione, si fa riferimento in due occasioni ai CPIA. Una prima volta, a pag 11, nella sezione “Scuola che sa essere inclusiva”, si afferma che in Italia, a quasi cinquant’anni dalla L. 517/1977 (cha ha permesso di accogliere nelle nostre aule gli allievi con disabilità), la scuola è entrata in una nuova stagione, “esito di un processo di evoluzione culturale sul tema dell’approccio educativo ai Bisogni speciali”, grazie ai quali l’idea di inclusione scolastica si baserebbe sul riconoscimento della rilevanza della piena partecipazione alla vita scolastica da parte di tutti i soggetti, non solo delle persone con disabilità, “ fino ad abbracciare il diritto allo studio degli alunni adottati” (per una visione critica dei BES si rimanda all’articolo presente in questo numero: La deriva medicalizzante della scuola: progettualità e relazione educativa). Il nostro Paese, si scrive nel testo, si colloca, infatti, all’avanguardia nel mondo per la promozione dell’educazione interculturale, l’assegnazione alle scuole del primo ciclo di docenti aggiuntivi della classe di concorso 23/A (insegnamento della lingua italiana per i discenti di lingua straniera) per l’insegnamento dell’italiano nelle sezioni con un numero di studenti stranieri, che si iscrivono per la prima volta al sistema nazionale di istruzione, superiore al 20 per cento degli alunni della classe, in precedenza assegnati solo ai CPIA. Si nominano, poi, una seconda volta i CPIA, a pag 13 “Finalità della scuola dell’infanzia e delle scuole del primo ciclo di istruzione”, quando si afferma che l’impegno a far conseguire le competenze-chiave per l’apprendimento permanente definite dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea ( 1.competenza alfabetica funzionale; 2. competenza multi linguistica; 3.competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie e ingegneria; 4. competenza digitale; 5.competenza personale, sociale e capacità di imparare a imparare; 6. competenza in materia di cittadinanza; 7.competenza imprenditoriale; 8.competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali), non si esaurisce al termine del primo ciclo di istruzione, ma prosegue con l’estensione dell’obbligo di istruzione nel ciclo secondario e oltre, anche attraverso il ruolo strategico dei CPIA, in una prospettiva di educazione permanente, per tutto l’arco della vita. Peccato che nella premessa si cerchi di dare, dell’istruzione adulti e dell’impegno che i vari dicasteri succedutisi dal 2015 ad oggi, hanno assunto nei confronti di un segmento così importante dell’istruzione nel nostro Paese, un’immagine che non risponde alla realtà, dimenticando di dire che: a) il “suggestivo” incremento (930 docenti), per l’insegnamento della Lingua Italiana agli stranieri (classe di concorso A23), è il frutto di un taglio di 5.660 posti in organico di diritto per l’anno scolastico 2025-2026 (oltre al fatto che gli studenti stranieri saranno inseriti in una classe apposita “per approfondire l’Italiano”) e che l’organico della classe di concorso A23, come da anni sottolineano i docenti impegnati nei CPIA e nell’istruzione adulti del secondo livello, sia del tutto insufficiente a garantire una reale inclusione dei ragazzi e degli adulti con background migratorio; b) che i Centri di istruzione provinciale per gli Adulti (CPIA), per i limiti dei finanziamenti che ne impediscono l’estensione, e a causa di un limitato organico docente dedicato alle attività di istruzione, non riescano per nulla ad assumere una prospettiva di educazione permanente. I CPIA, infatti, riescono a rivolgersi quasi esclusivamente agli adulti stranieri, escludendo, per i finanziamenti non adeguati e una programmazione che non prevede una sua più ampia diffusione, quegli adulti italiani che avrebbero, invece, estremamente bisogno di esservi inseriti, visto che il 40% della popolazione, tra i 14 e i 64 anni, risulta in possesso della sola Licenzia di scuola media. Occorrerebbe, invece, per dar seguito alla richiamata educazione permanente, un intervento uniforme, per potenziare l’organico, al fine di sostenere gli adulti privi di titoli di studio o di conoscenze adeguate, in modo da rafforzare queste ultime e far acquisire loro le necessarie abilità di base. L’investimento avrebbe, peraltro, un importante ritorno economico per la crescita occupazionale e i costi di una povertà, economica ed educativa, fortemente diffusa nel nostro paese (si veda al proposito, Orazio Giancola e Luca Salmieri, in La povertà educativa in Italia, Carocci, 2023).
“Solo l’Occidente conosce la Storia”. Ma non sono solo questi riferimenti che preoccupano i docenti che sono impegnati a vario titolo nell’Istruzione degli Adulti, i quali, non a caso, stanno dimostrando un vivo interesse per il prossimo Convegno sulle Nuove Indicazioni Nazionali, organizzato dal CESP, che si terrà il 10 ottobre e vi si stanno iscrivendo numerosi. Pur tralasciando di entrare nel merito di altri aspetti delle Nuove Indicazioni nazionali (punti che sono ampiamente trattati negli altri articoli pubblicati in questo numero della Rivista Cobas), non si può, però, tacere su quanto scritto relativamente all’Organizzazione del curricolo per l’insegnamento della Storia che pone, proprio per chi insegna agli adulti (quasi sempre stranieri), seri problemi di interpretazione, a partire dal senso dell’emblematica affermazione posta proprio all’inizio della parte orientativa della Storia, nella quale si afferma, in tono perentorio “Solo l’Occidente conosce la Storia”. L’affermazione, sin dalle prime versioni del testo, ha destato numerosi interrogativi e prese di posizione, che hanno determinato altrettante repliche da parte degli stessi estensori del documento, come quella di Ernesto Galli della Loggia(Coordinatore del gruppo che ha scritto la parte relativa alla Storia nelle Indicazioni nazionali), pubblicata il 24 marzo scorso sul Corriere della Sera, il quale ha polemicamente affermato “ almeno per chi ha una qualche confidenza con la lingua italiana, l’espressione «solo l’Occidente conosce la Storia» («conosce», non «ha») lungi dal significare «solo l’Occidente ha avuto una storia e tutti gli altri no», significa che […] solo in quell’area geo-storica che si chiama Occidente la conoscenza dei fatti storici e la riflessione su di essi — alimentata dal pensiero greco-romano e dal messaggio cristiano — ha dato vita a una dimensione culturale particolarissima nella quale il realismo analitico più crudo si è mischiato al profetismo sociale più estremo.” Ma, in verità, la risposta di Galli Della Loggia, gira solo intorno al problema posto dall’incipit, in quanto si ricorre all’autorità di uno storico dello spessore di Marc Bloch, citato strumentalmente nelle Indicazioni, il quale, nel famoso testo “Apologia della storia” scriveva, sì “anche altre civiltà, altre culture, hanno assistito a un inizio di scrittura che possedeva le caratteristiche della scrittura storica. Ma quell’inizio è ben presto rimasto tale, ripiegando su se stesso e non dando vita ad alcuno sviluppo; quindi non segnando in alcun modo la propria cultura così come invece la dimensione della Storia ha segnato la nostra”, non per sostenere che gli altri popoli sono senza storia, ma che l’Occidente ha elaborato nel corso del tempo un modo specifico di relazionarsi, di interpretare, trasmettere, studiare e raccontare i fatti accaduti, ovvero il passato, cioè la storia. Inserire tale frase in un testo come quello delle Indicazioni Nazionali, che non forniscono semplici “suggerimenti” per la costruzione del curricolo della Storia, ma costituiscono un preciso “orientamento”, significa, invece, surrettiziamente, affermare che bisogna insegnare la storia occidentale perché questa è l’unica depositaria di una visione analitica e critica della Storia. Istruzione degli Adulti, dialogo interculturale e inclusione. Ovviamente per i docenti impegnati nell’istruzione degli adulti, formata da classi in cui gli immigrati costituiscono percentuali importanti (quando non esclusive), questa impostazione mette in discussione ed annulla i presupposti su cui si fondano i principi dell’inclusione, richiamata in funzione puramente demagogica nella premessa delle Indicazioni, come apparente fiore all’occhiello dell’Italia che, si scrive, “promuove la piena partecipazione alla vita scolastica da parte di tutti i soggetti”. Si chiedono, infatti, i docenti dei CPIA e del secondo livello di istruzione, in carcere e fuori, come si possa, di fronte ad una platea comprendente appartenenze culturali, religiose ed etniche, varie e multiformi, presentare una visione tanto unilaterale della Storia, alla quale manca qualunque riferimento multiculturale, quando occorrerebbe, invece, in una prospettiva realmente “inclusiva”, proporre curricoli laici e aperti alle diverse realtà presenti nelle nostre scuole. Ma nel documento non ci si ferma qui, si prosegue ulteriormente, rilevando la preminenza del pensiero italiano e riproponendo, proprio nell’attuale periodo storico, contrassegnato da un crescente fenomeno immigratorio, la centralità della storia nazionale, quale elemento fortemente identitario “Nella scuola primaria sembra poi necessario che l’insegnamento abbia al centro le origini della civiltà occidentale, su cui si fonda anche la nostra storia nazionale e la nostra identità, sia al fine di far maturare nell’alunno la consapevolezza della propria identità di persona e di cittadino, sia – vista la sempre maggiore presenza di giovani provenienti da altre culture – al fine di favorire l’integrazione di questi ultimi, integrazione che dipende anche, in modo determinante, dalla conoscenza dell’identità storico-culturale del paese in cui ci si trova a vivere.” Nulla di più lontano da parte di chi, prendendo atto della trasformazione multietnica e multiculturale della nostra società, pur facendo riferimento alla dimensione italiana ed europea, proprio attraverso l’insegnamento della Storia forniscono agli studenti gli strumenti per riconoscere le diversità delle varie culture, permettendo la convivenza e promuovendo, attraverso il dialogo interculturale, l’inclusione, la tolleranza e il rispetto delle diversità.
Anna Grazia Stammati