mercoledì, Settembre 3, 2025

IL CONTROVERSO SCENARIO INTERNAZIONALE E IL NOSTRO DIBATTITO INTERNO

Dagli anni Novanta, il bipolarismo tra le due super-potenze USA-URSS è finito con l’implosione dell’URSS e del blocco ‘socialista’. Anziché la ‘fine della storia’, vaticinata da Fukuyama, la fine del conflitto ideologico-militare ha provocato la rinascita della “politica di potenza” da parte dell’imperialismo statunitense ed euro-atlantico – in particolare con l’allargarsi della NATO in Europa e le operazioni militari nella  regione del Golfo contro l’Iraq (‘90-‘91), in Yugoslavia (‘95), in  Afghanistan (2001), di nuovo Iraq (2003), Libia (2011) – e da parte del neo-zarismo imperiale russo con le guerre contro la Cecenia (’94-’96 e ’99-2009), Georgia (2008), Crimea (2014) e Ucraina (2022) con l’occupazione delle regioni orientali del Donbass e i tentativi di rovesciare Zelenski; infine, la Cina che punta all’annessione di Taiwan. A fronte di squilibri sempre più drammatici, compreso il rischio di disastro planetario – dovuto alla minaccia russa di ricorso alle armi nucleari – , si è aperto un confronto importante all’interno dei COBAS Scuola con differenti letture delle dinamiche in corso, le quali però possono essere ricomposte in un quadro condiviso di principi fondamentali che determinano la nostra collocazione sindacale, sociale e politica.

DALLA GUERRA FREDDA AL RITORNO DELLE POLITICHE DI POTENZA NEL XXI SECOLO

Con il crollo del blocco sovietico e la disgregazione dell’Unione Sovietica, è iniziata una campagna di “esportazione” del modello liberal-democratico, con interventi militari nelle regioni dove non si esercitava più il dominio o l’influenza dell’URSS e con risultati disastrosi per le popolazioni: dopo vent’anni di occupazione l’Afghanistan è tornato nelle mani dei talebani, l’Iraq è divenuto l’incubatrice di movimenti jihadisti-terroristi come Daesh/ISIS, la Libia divisa in tre zone controllate da “signori della guerra”; in Siria è infine caduto il criminale regime di Assad, ma sostituito da un governo dell’(ex?) jihadista Ahmed Al-Sharaa (Abu Mohammed al-Jolani) che non sembra intenzionato a (o non è in grado di) mantenere garanzie per i non musulmani (drusi e kurdi in primis). La Russia, dopo un periodo di grave difficoltà e corruzione seguito alla dissoluzione dell’URSS, con l’elezione alla Presidenza nel 1999 di Putin – ora al quarto mandato – ha rilanciato un progetto di potenza neoimperiale mescolando ideologia reazionaria neozarista, oscurantismo ortodosso, neostalinismo, in chiave iper-nazionalista, allo scopo di riconquistare uno spazio imperiale russo centrato sul dominio dei Paesi confinanti.

Nello scenario mediorientale, il riacutizzarsi del conflitto intra-confessionale islamico (sciiti contro sunniti) ha provocato conflitti acutissimi, con l’emergere di progetti pan-islamisti che hanno sostituito i progetti pan-arabi: in tale contesto, Israele si è trovato fin dalla sua fondazione a fronteggiare una lotta per l’esistenza, sostenendo e vincendo la guerra scatenata dai Paesi Arabi all’indomani della proclamazione dello Stato di Israele, mentre i palestinesi ricordano la ‘pulizia etnica’ dei villaggi palestinesi tra il ’47 e il ’48, effettuato dalle milizie israeliane (al-Nakba, il ‘Disastro’ o la ‘Catastrofe’). Il governo di ultradestra di Netanyahu, sostenuto dalla destra messianica, ha scatenato una reazione feroce in risposta agli atti terroristici di Hamas, in particolare quello efferato del 7 ottobre 2023. Le interpretazioni su questi eventi si sono differenziate tra chi ritiene che la reazione di Israele, per quanto di fatto stragista e pesantissima per la popolazione palestinese, non si proponga un genocidio ma sia finalizzata a distruggere Hamas e a ridimensionare tutti coloro (Iran, in primo luogo) che hanno come obiettivo la distruzione dello Stato di Israele, definito con disprezzo ‘Entità Sionista’; e chi invece sostiene che siamo di fronte al rilancio del progetto sionista neocoloniale di Israele, attuato mediante una criminale guerra di aggressione genocida contro la popolazione palestinese, con l’obiettivo di impossessarsi di tutto il territorio dal Giordano al Mediterraneo, espellendo la gran parte dei palestinesi e creando zone “cuscinetto” in Libano e Siria. Una seconda differente lettura riguarda il ruolo di Hamas, per alcuni/e responsabile – oltre ad aver imposto con la forza il proprio regime a Gaza – di aver compiuto l’orrendo massacro del 7 ottobre proprio per provocare la più spietata reazione di Netanyahu e così delegittimare Israele agli occhi del mondo, cosa che sta effettivamente accadendo, ma a carissimo prezzo per la popolazione di Gaza che subisce una strage che Hamas avrebbe potuto interrompere rilasciando gli ostaggi; per altri/e Hamas, al di là del massacro del 7 ottobre, è comunque rappresentante dei palestinesi, in mancanza di alternative laiche come quelle egemoni negli anni ’70 e a causa della corruzione e impotenza dell’ANP.

I PRINCIPI DELLA AUTO-ORGANIZZAZIONE SOCIALE, POLITICA, CULTURALE DELLA SOCIETÀ

Tratteggiato sinteticamente il nuovo quadro geopolitico, evidenziamo ora succintamente i fondamentali principi etico-politici su cui si fonda la nostra organizzazione e il nostro agire collettivo: innanzitutto, l’auto-organizzazione di lavoratori/trici e cittadini/e, che comporta la riduzione al minimo della delega e di forme burocratiche (sindacali e/o politiche); in secondo luogo la reale partecipazione di ogni persona, sia per quanto riguarda il proprio ruolo lavorativo, sia per l’appartenenza in generale ad una comunità; in terzo luogo, la costituzione di organismi “di base” senza deleghe “in bianco” o prive di controllo. Perciò ci battiamo per il rispetto dei diritti civile e sociali che molti regimi non riconoscono (personali: libertà nella sessualità e nella vita affettiva; civili: parità di genere ed emancipazione delle donne, riconoscimento dei diritti per omosessuali e comunità transgender; sociali: diritti dei lavoratori/trici, equità salariale e trattamento paritario tra uomini e donne; politici: libertà di parola, di associazione e di dissenso).Non è pertanto casuale che la causa del popolo kurdo, culminata nell’abbandono della lotta armata del PKK e nell’affermazione del Confederalismo Democratico – proposto da Ocalan per la risoluzione del conflitto kurdo-turco e realizzatosi nella regione autonoma del Rojava con il protagonismo essenziale delle donne – rappresenti per noi la prospettiva condivisa e fraterna di società, di concezione libera dei rapporti personali e di reale uguaglianza tra donne e uomini.

CONTRO OGNI FORMA DI AGGRESSIONE (ECONOMICA, POLITICA, MILITARE, DI GENERE), PER L’AUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI E I DIRITTI UNIVERSALI DEI CITTADINI/E

Nei conflitti che a partire dagli anni Novanta si sono succeduti fino ad oggi, i COBAS si sono schierati contro le aggressioni imperialiste alla sovranità degli Stati e alle popolazioni civili, rivendicando peraltro la legittimità alla resistenza armata da parte dei popoli aggrediti (distinguendoci dal pacifismo non-violento “di maniera”). Nel 2022, la Russia ha iniziato un’occupazione militare, chiamata eufemisticamente “Operazione Speciale”, su cui si è aperta un dibattito tra chi sostiene che questa guerra sia un’inaccettabile aggressione imperialista da parte della Russia e chi l’ha considerata, pur senza giustificarla, una reazione “eccessiva” all’accerchiamento da parte della NATO. In nessun caso, comunque, si possono giustificare azioni militari e bombardamenti contro i civili, da chiunque arrivino, anzi devono essere decisamente condannati.

L’autodeterminazione dei popoli è il principio basilare per il superamento dei conflitti attraverso il reciproco riconoscimento del diritto a una esistenza pacifica per tutti/e, ed è il principio-guida condiviso dai COBAS, con il corollorario essenziale del riconoscimento dei diritti universali degli individui, non violabili da nessuna cultura e/o religione. Questo vale per il popolo kurdo, martoriato e sottoposto a repressione violenta dalla Turchia, quanto per il popolo palestinese. Se è fondamentale che sia riconosciuto il pieno diritto degli israeliani all’esistenza e alla sicurezza, è altrettanto necessario creare le condizioni per la sopravvivenza dei/delle palestinesi, restituendo le terre occupate, riconoscendone il diritto all’autodeterminazione. Come si possa realizzare uno scenario di pacificazione dell’area e di convivenza tra palestinesi e israeliani non è univoco: chi continua a sostenere la necessità di riconoscere lo Stato palestinese come stato sovrano nell’ottica dei “due popoli, due Stati”, chi invece sostiene che un unico Stato laico e non confessionale – che includa palestinesi ed ebrei con eguali diritti – è la sola soluzione equa. Ci potrebbe essere una soluzione intermedia che preveda la nascita dello Stato di Palestina e la costituzione di una Confederazione israelo-palestinese, ma ovviamente anche in questo caso entrambi gli Stati dovrebbero rinunciare alla natura confessionale delle proprie Leggi Fondamentali.

Perciò i COBAS:

a)      sono  contro qualsiasi politica di prevaricazione di uno Stato/popolo su altri, attraverso guerre di aggressione e occupazioni militari, o mediante strumenti economico-finanziari e commerciali che vadano a vantaggio esclusivo o prevalente di profitti e interessi di élite ristrette;

b)    condannano fermamente ogni azione contro i civili, utilizzata come strumento terroristico contro le popolazioni che si oppongono a occupazioni del proprio territorio da parte di eserciti o milizie stranieri;

c)      considerano fondamentale l’autodeterminazione dei popoli, la libera scelta dei propri governi e delle proprie istituzioni, difendere il diritto internazionale affinché si attuino autodeterminazione e applicazione dei diritti universali di ogni persona;

d)     ritengono essenziale il rispetto di ogni espressione culturale e religiosa che non leda i diritti fondamentali e non sia imposta, ma che sia libera scelta di ognuno/a.

NO A ECONOMIA DI GUERRA E  PROPAGANDA MILITARISTA, Sì A INVESTIMENTI NEL SOCIALE PUBBLICO

Ci opponiamo alla logica dell’economia di guerra che si è andata diffondendo nelle nostre società con l’aumento delle spese militari in Occidente, nella Russia impegnata nell’invasione e occupazione delle regioni orientali e meridionali dell’Ucraina e in altre zone del mondo, e in Cina, nonché alle prospettive, pur indotte dall’aggressione russa all’Ucraina, di riarmo dei Paesi dell’UE (circa 800 mld di euro di Rearm Europe/Readiness 2030), attraverso la sospensione dei parametri di bilancio. Accanto alle rivendicazioni sindacali, dichiariamo la nostra opposizione, ad Ovest come ad Est, all’aumento delle spese militari, all’invio di armi negli scenari di guerra, alla costruzione/ampliamento delle basi militari nei territori. L’opposizione al riarmo deriva non da un irenico pacifismo “non-violento”, ma dall’evidenza che le spese militari sottraggono risorse alle spese sociali e agli investimenti necessari per sanità, istruzione, pensioni, trasporti.Il drastico ridimensionamento dell’intervento pubblico nei servizi sociali, già operato pesantemente negli ultimi anni, ha provocato l’aumento dei costi delle spese socio-sanitarie e dei trasporti per gli ‘utenti’, costretti a pagare prestazioni che nel pubblico sarebbero state gratuite; nella scuola vi sono tentativi sempre più invasivi di far aderire il personale a previdenza e assicurazioni private, nonché di trasferimento di risorse per le scuole verso l’ assistenza sanitaria privata. La battaglia è dunque quella di impedire lo smantellamento dell’impianto pubblico dei servizi sociali, fondamentali per i settori più deboli della società. 

Infine,intendiamo contrastare la propaganda militarista che si sta diffondendo nella società e nelle scuole, in particolare opponendoci alle Nuove Indicazioni Nazionali, che dopo la Scuola dell’Infanzia e Primaria e la Secondaria di Primo grado a breve interesseranno anche le Secondarie di Secondo Grado, ove è chiarissimo l’intento del Ministro Valditara di dare una sterzata in chiave nazionalista al processo educativo, evidenziando come la migliore cultura e civiltà del mondo sia quella occidentale. In una scuola con numeri crescenti di figli di persone migranti, tale approccio finirebbe per contrapporre gli “italiani veraci” e gli “immigrati semi-cittadini”, erigendo muri tra culture e religioni, mentre la scuola deve rimanere palestra per la convivenza e l’accettazione reciproca: una scuola pubblica laica e tollerante, che educhi alla libertà e al pensiero critico, al riconoscimento dei propri e altrui diritti, è decisiva per il superamento delle contrapposizioni culturali e per una società democratica di eguali, libere e liberi. 

Giovanni Bruno

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