mercoledì, Settembre 3, 2025

Nuove Indicazioni Nazionali, perché e come rifiutarle

Tra giugno e luglio 2024, la Commissione incaricata della revisione delle Indicazioni nazionali (IN) ha organizzato incontri con associazioni professionali, sindacali e di genitori e studenti. Il CESP ha partecipato il 18 giugno, constatando che la revisione era già avviata e procedeva rapidamente, come sottolineato dalla stessa coordinatrice della Commissione, Loredana Perla. Come altre associazioni, abbiamo sottolineato l’inopportunità di modificare le Indicazioni 2012, ancora attuali e basate sulla complessità educativa e sull’intercultura, suggerendo al massimo un loro aggiornamento su temi emergenti.

La percezione di incontri formali e di un percorso già deciso, rafforzata dalle dichiarazioni di Valditara, è stata confermata l’11 marzo dalla pubblicazione della prima bozza delle IN, presentata come “materiale per il dibattito pubblico”. Quest’ultimo ha mostrato subito i suoi limiti: le audizioni, avviate una settimana dopo la pubblicazione della bozza, sono state rapide e hanno concesso alle associazioni pochi minuti per commentare un testo di 154 pagine, mentre i contributi scritti sono rimasti senza risposta. Il CESP ha partecipato a quella del 21 marzo, sottolineando la netta discontinuità  delle IN rispetto alle vigenti, soprattutto per l’insegnamento della Storia, contrariamente a quanto emerso e richiesto nelle precedenti audizioni. Queste le criticità evidenziate: eccesso di enfasi sui “talenti”, visione occidentale del concetto di “persona”, mancanza di prospettiva interculturale e inclusiva, educazione di genere ridotta a “educazione del cuore” e libertà presentata come valore esclusivo dell’Occidente.

Durante le audizioni, il Ministero ha lanciato una consultazione tramite questionario rivolto a gruppi di insegnanti o dirigenti, con 22 domande a risposta chiusa tutte orientate a confermare l’impianto delle IN o suggerire piccoli aggiustamenti, senza spazio per un dissenso significativo, e un unico campo aperto di soli mille caratteri.

Le critiche alle IN hanno acceso un vivace dibattito, evidenziando l’impostazione culturale di destra e classista del documento. Il “popolo della scuola” ha iniziato a riunirsi, sono nate realtà come la Rete per la scuola pubblica, di carattere territoriale e dal basso, e il Tavolo interassociativo, attivo a livello nazionale, moltiplicando incontri, appelli e mozioni di rifiuto delle IN e del questionario ministeriale. Il Ministero ha risposto solo con un atto simbolico, una casella email per eventuali commenti. Non è mai stato reso noto quanti messaggi siano arrivati, chi li abbia letti e con quali criteri. Loredana Perla ha invece difeso con orgoglio le IN, definendo le critiche come tentativi di strumentalizzare il documento per lotta politica, un fenomeno di radicali rimasti al “piccolo mondo antico” degli anni Settanta.

La bozza dell’11 giugno, inviata al CSPI, pur attenuando alcuni degli aspetti più contestati, non ha recepito i contributi di associazioni e società scientifiche. Del resto, le critiche più sostanziali non potevano essere accolte: farlo avrebbe spezzato quel filo rosso ideologico che assicura coerenza alle politiche di un governo di destra e che, per sua natura, non può recepire istanze di segno pedagogico egualitario, attivo e partecipativo. Lo stesso rito partecipativo di facciata del sondaggio rivolto a 1.200 genitori pubblicato assieme alla nuova bozza e presentato come consenso ampio, era parziale, non trasparente e formulato in modo da orientare le risposte favorevoli.

Con lo slogan ad effetto di una “svolta culturale” che unisce “la storia e la cultura del nostro passato con l’innovazione”, Valditara ha accompagnato la pubblicazione del testo definitivo delle IN, il 7 luglio, in cui i rilievi del CSPI sono stati accolti solo parzialmente, a favore della conservazione dell’intero impianto culturale, pedagogico e didattico in cui la disciplina storia resta strumento di identità nazionale. Le Premesse culturali delineano l’orizzonte valoriale del documento. A fondamento della scuola non è posta la cultura, ma la centralità della persona , secondo una concezione radicata nella tradizione giuridico-filosofica occidentale: dal diritto romano alla Dichiarazione universale del 1948, fino alla Costituzione.  È una lettura lineare e distorta del concetto di persona, che nel tempo si è trasformato in modo discontinuo, ridefinendo di volta in volta chi fosse riconosciuto come “persona” e quali diritti potesse esercitare, e non può quindi essere ricondotto a una categoria data e indiscutibile riproducendo un paradigma etnocentrico. Anche nell’affermare che “a scuola l’allievo scopre la propria identità personale e la propria appartenenza a una comunità in costante evoluzione” si ignorano le evidenze delle scienze sociali su identità e appartenenze plurali e mutevoli. Ne deriva una visione rigida, che genera pratiche educative escludenti e uniformanti anziché valorizzare le differenze. Anche l’idea che la relazione non limiti la persona ma la costituisca rimane contraddetta da una descrizione in realtà molto individualistica, centrata sulla realizzazione della persona come destino ultimo.

La comunità, ridotta a scuola, famiglia e, dopo il parere del CSPI, al terzo settore, resta intesa come modello ristretto, racchiuso entro i confini istituzionali del “patto educativo di corresponsabilità” e fondato su relazioni sociali di facile controllo.  Esistono condizioni sociali che rendono difficile l’alleanza con la scuola; affermare che senza di essa sia impossibile “raggiungere obiettivi educativi efficaci”  costituisce una visione classista che contempla solo contesti collaborativi.

Nonostante il parere del CSPI, Il successo scolastico resta affidato all’insegnante magis e alla sua presunta “autorevolezza ritrovata”. Rimane perseguibile tramite la valorizzazione dei talenti, nucleo del pensiero di Valditara e connessa all’ideale di scuola meritocratica, evidente nella connessione del talento alla “capacità di mobilitare risorse cognitive, affettive e creative”, anche se, vestito da inclusione, viene descritto come “possibilità trasformativa per ciascuno”, anche in “situazioni di fragilità o svantaggio”. L’impostazione iniqua ed escludente emerge anche dall’enfasi posta sulla personalizzazione dell’apprendimento a scapito dell’insegnamento individualizzato che mira ad assicurare a  tutte/i il raggiungimento degli stessi obiettivi di competenza.

Tra le finalità dell’educazione alla libertà, concetto ancora definito come “il valore caratteristico più importante dell’Occidente e della sua civiltà sin dalla sua nascita, avvenuta fra Atene, Roma e Gerusalemme”, si conferma la “comprensione del principio di autorità”. Nessuno spazio per i valori della convivenza acquisiti tramite il dialogo, in cui anche il dissenso è occasione educativa di crescita, ma un “lungo allenamento all’autogoverno” e l’osservanza di regole per acquisire senso del limite e l’etica del rispetto. Norme e bona fides costituiscono gli ingredienti fondamentali di un’“educazione del cuore” capace di suscitare sentimenti come fiducia, empatia, tenerezza, incanto e gentilezza. L’enfasi sui valori morali della pedagogia romantica ottocentesca esclude lo sviluppo di competenze relazionali, emotive e di autonomia critica riducendo l’educazione a indottrinamento e controllo sociale.

In tema di inclusione, il testo richiama diverse norme e strumenti già in atto: BES, ICF, patti di collaborazione tra scuole ed enti, mediatori linguistico-culturali, insegnamento dell’Italiano L2, docenti aggiuntivi della classe di concorso 23/A e Linee di indirizzo per il diritto allo studio degli alunni adottati. Ad eccezione del riferimento al modello dell’Universal Design for Learning per la partecipazione attiva degli studenti nelle scelte relative al proprio percorso scolastico, rimane una concezione di inclusione come risposta rivolta ad alunne/i in difficoltà. Il centro dell’attenzione resta l’inserimento del singolo all’interno del sistema, piuttosto che la trasformazione dei contesti educativi. L’educazione interculturale viene ridotta a competenze linguistiche e civiche, trascurandone la finalità autentica: favorire la convivenza costruttiva in contesti culturali diversificati, rivolta a tutte e tutti.

Su richiesta del CSPI viene introdotta, nella secondaria di primo grado, la valorizzazione delle figure del tutor e dell’orientatore: una scelta considerata impropria e dannosa, poiché introduce gerarchie tra docenti, indebolisce l’unità collegiale, limita la libertà di insegnamento e delegittima i Consigli di classe. Inoltre, sono stati inseriti due nuovi paragrafi: il primo dedicato all’educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale, già presente nelle Linee guida di Educazione civica; il secondo sull’internazionalizzazione, incentrato sulle competenze multilinguistiche e sugli scambi, ma privo di riferimenti all’intercultura.

È stato ignorato il parere contrario del CSPI sulla disciplina di Storia, che criticava l’eliminazione dell’ambito delle fonti, il tono polarizzante dell’incipit e l’enfasi sull’identità nazionale a scapito dell’approccio disciplinare. Il testo rimane invariato, segnato da carenze concettuali e incoerenza e inscritto in un impianto ideologico italocentrico e occidentalista.  Permangono tutti gli elementi problematici: l’idea del bambino e della bambina, del ragazzo e della ragazza come incapaci di leggere e interpretare le fonti, a cui la storia viene quindi proposta soltanto nella sua dimensione narrativa; la concezione lineare della storia, intesa come processo evolutivo incentrato su personaggi eminenti; l’elenco di conoscenze (contenuti manualistici) in cui spiccano figure eroiche del Risorgimento insieme a personaggi e vicende tratti dalla Bibbia e dai poemi epici occidentali, proposti già nei primi anni della scuola primaria; la rappresentazione della “comparsa” dell’uomo sulla terra come evento improvviso, in chiave creazionista, che ignora il processo di ominazione; i diversi errori o espressioni superate che vari storici avevano segnalato: il feudalesimo presentato come legato a Carlo Magno e non al tardo Medioevo, la superata definizione “Repubbliche marinare” anziché ad esempio “città-stato mercantili”,  il Mediterraneo unificato da Alessandro Magno, la semplificazione delle “tre Italie”, le rivoluzioni moderne come espressione di libertà, la decolonizzazione ridotta al solo scenario asiatico.

Le IN saranno adottate dall’a.s. 2026-2027 dalle classi prime di primaria e secondaria di primo grado, le classi già attive nel 2025/2026 continueranno a far riferimento alle Indicazioni del 2012. In questo lasso di tempo saranno necessarie azioni di rifiuto alle IN. La richiesta rielaborazione del curricolo d’istituto dovrà prevede un’attenta analisi collegiale del documento affinché gli obiettivi siano declinati, contestualizzati e arricchiti (come previsto dal DPR 275/1999) tenendo conto della dimensione interculturale, promuovendo equità e pari opportunità di apprendimento, e riconoscendo ogni bambina/o come soggetto competente. Inoltre, si potrà rifiutare l’adozione dei testi scolastici revisionati avvalendosi di strumenti alternativi: testi (narrativi, esplicativi, documentari …), materiali digitali, o qualsiasi altro strumento coerente con il PTOF. È un’opzione riconfermata in tutte le normative per la quale è necessaria solo una breve relazione che motivi la scelta.

Bruna Sferra

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