Il 16 novembre 2023 l’ARaN e le organizzazioni sindacali rappresentative hanno sottoscritto un Accordo riguardante l’adesione al Fondo pensione Espero, introducendovi il silenzio-assenso e disciplinando il recesso dei lavoratori. Successivamente, con la nota n. 133215 dell’11 giugno 2025, il Ministero ha fornito ai Dirigenti scolastici le istruzioni operative. Dalla data dell’informativa decorrono nove mesi entro i quali i lavoratori/trici possono rifiutare l’adesione: in assenza di risposta, scatta automaticamente l’iscrizione per silenzio-assenso. Tale meccanismo riguarda il personale scolastico assunto a tempo indeterminato dal 1° gennaio 2019. Questa impostazione solleva più di un problema, sul piano sostanziale e su quello dei principi di libertà e consapevolezza. Il TFR è salario differito, un accantonamento rivalutato ogni anno con un tasso fisso dell’1,5% più il 75% dell’inflazione. Pretendere di destinarlo a un fondo pensione privato solo in virtù del “silenzio” del lavoratore/trice configura una forma di appropriazione indebita, tanto più se non si produce un’informazione chiara, imparziale e capillare.
Le simulazioni dei rendimenti presentate dai fondi pensione si basano su previsioni di crescita economica, inflazione e costi di gestione, che non offrono garanzie reali. Non a caso, nelle avvertenze delle proiezioni si legge che i valori sono ipotetici e non vincolanti né per il Fondo Espero né per la COVIP. I dati concreti dimostrano una realtà ben diversa: negli ultimi dieci anni i fondi pensione negoziali hanno registrato un rendimento medio annuo del 2,2%, inferiore allo stesso TFR che, nello stesso tempo, ha reso il 2,4% medio annuo (fonte COVIP).
C’è poi un aspetto politico e sociale. Aderire a un fondo complementare significa accettare la logica della capitalizzazione individuale, che lega la prestazione pensionistica esclusivamente all’entità dei contributi versati e ai presunti rendimenti ottenuti: una logica che mina il principio solidaristico alla base del sistema pensionistico pubblico. I contributi di chi lavora oggi finanziano le pensioni di chi ha già lavorato, in un patto intergenerazionale che rappresenta un pilastro di equità e coesione sociale. Inoltre, i vantaggi fiscali concessi ai fondi pensione riducono il gettito complessivo dello Stato: la decontribuzione a favore di pochi produce un danno alla collettività intera, replicando quanto già avvenuto con i fondi sanitari integrativi. In pratica, risorse che dovrebbero rafforzare previdenza e sanità collettive vengono dirottate verso strumenti individuali e privatistici.
Un ulteriore elemento critico riguarda la destinazione dei capitali accumulati. I lavoratori/trici della scuola non hanno alcun potere di controllo sulla qualità etica e sociale degli investimenti. Nonostante le retoriche sulla “sostenibilità”, la Nota informativa del Fondo Espero depositata presso la COVIP ammette che esso «non promuove caratteristiche ambientali e/o sociali e non ha come obiettivo investimenti sostenibili». Ancora oggi, a quasi 25 anni dalla sua istituzione, Espero dichiara di non avere una politica di valutazione degli impatti ambientali e sociali degli investimenti, limitandosi a escludere le aziende coinvolte nella produzione di armamenti “banditi”. Ciò significa che qualsiasi altra attività di guerra o inquinamento, se non formalmente vietata, resta legittima come investimento, malgrado la Costituzione italiana ripudi la guerra e promuova la tutela dell’ambiente e della salute.
Il ruolo dei sindacati sottoscrittori appare ambiguo. Da un lato dichiarano di difendere i lavoratori/trici, dall’altro alimentano circuiti finanziari privati. Una contraddizione che indebolisce la credibilità della rappresentanza sindacale e che rischia di trasformare quei sindacati in procacciatori di capitali per banche e assicurazioni. Il meccanismo del silenzio-assenso è, in questo contesto, uno strumento iniquo. La normativa (D.Lgs. 252/2005) lo consente, ma il principio costituzionale di libertà di scelta dovrebbe prevalere. Nessuno dovrebbe trovarsi iscritto a un fondo pensione senza aver espresso un consenso informato e consapevole. In pratica, molti lavoratori scoprono la loro adesione al Fondo Espero solo anni dopo. Scelta che, peraltro, una volta trascorsi i nove mesi previsti, e dopo ulteriori trenta giorni, non potrà essere modificata senza costi aggiuntivi. Tramite la piattaforma istanze on line, è possibile esprimere la volontà di non aderire al Fondo Espero.
Il problema non è solo formale ma sostanziale: si trasforma in automatismo una decisione che tocca il salario differito e la concezione di previdenza. Una scelta di tale portata richiede informazione e consapevolezza e non può essere imposta. Per queste ragioni, invitiamo il personale scolastico a non aderire al Fondo Espero. Rivendicare il diritto a mantenere il proprio TFR nell’alveo sicuro e solidaristico del sistema pubblico significa difendere non solo i propri interessi individuali, ma anche la previdenza e i servizi di tutti/e. Il personale scolastico merita una pensione corrispondente all’ultimo stipendio. Il Fondo Espero rappresenta un modello inaccettabile di privatizzazione strisciante della previdenza pubblica, così come è inaccettabile il meccanismo liberticida del silenzio- assenso per i neo assunti. È necessario indirizzare risorse pubbliche per rafforzare il sistema previdenziale, anziché destinarle agli strumenti di distruzione e di morte, alle opere inutili e dannose, garantendo un’uscita dal lavoro a un’età compatibile con la fatica fisica e mentale che l’insegnamento e i compiti ausiliari comportano.
COBAS SCUOLA

