I detenuti della Casa Circondariale di Genova – Marassi il 4 giugno hanno messo a ferro e fuoco un’intera sezione dell’istituto penitenziario per protestare contro l’assoluta mancanza di intervento dell’amministrazione che ha permesso il protrarsi, sembra per ben tre giorni, di una brutale violenza ai danni di un giovane adulto recluso, di 18 anni. I docenti e le docenti della Rete delle scuole ristrette sono venuti a conoscenza dei fatti accaduti dagli organi di stampa, ma hanno potuto, immediatamente dopo, confrontarsi con i colleghi/e che insegnano nell’istituto penitenziario e sono parte della Rete.
Pur rimanendo colpiti dalla vicenda in sé, i/le docenti non sono meravigliati per quanto accaduto, perché in quest’ultimo anno episodi del genere si stanno verificando in maniera diffusa nelle carceri italiane, tanto negli istituti minorili, quanto in quelli per adulti. La rivolta di Genova, infatti, non è l’unica avvenuta nell’ultima settimana (è solo l’unica di cui si ha notizia) e gli insegnanti interni agli istituti, che proprio per il ruolo svolto costituiscono un naturale “Osservatorio del disagio dei reclusi”, sono testimoni diretti di rivolte interne che coinvolgono intere sezioni, ma che non vengono neppure riportate all’esterno, nonostante si stiano insistentemente ripetendo.
Una cosa i colleghi e le colleghe del Marassi ci hanno tenuto a sottolineare, ovvero che i detenuti hanno favorito la fuoriuscita dei docenti presenti in quel momento, in totale sicurezza, predisponendo un cordone che ha permesso loro di non entrare in contatto con i rivoltosi, così come hanno confermato di non aver assistito ad aggressioni nei confronti degli agenti, con alcuni dei quali, nel corso di quest’anno, hanno invece notato l’instaurarsi di un rapporto più disteso e quasi amichevole, forse anche dovuto al fatto che molti sono giovani o coetanei dei ristretti (e hanno affermato che proprio tale rapporto ha evitato conseguenze più gravi in quella tragica situazione). Risulta, invece, almeno per le notizie arrivate alla Rete, che i docenti presenti al momento dei tafferugli, non siano stati contattati, successivamente dall’Amministrazione, né come testimoni diretti dell’accaduto, né come personale a stretto contatto con i detenuti e l’area educativa.
In realtà i docenti della Rete, in questi mesi, hanno avuto già modo di confrontarsi sulla difficile situazione e sull’aria di assoluta costrizione delle attività che si sta diffondendo sempre di più e l’ultimo confronto al proposito è stato quello del Salone Internazionale del Libro di Torino, nel maggio scorso, al quale la Rete ha partecipato con più appuntamenti e nel seminario del CESP “Cultura & Carcere. Biblioteche innovative: un modello che si diffonde”, docenti, dirigenti scolastici, funzionari giuridico-pedagogici, docenti universitari, garanti ed esperti si sono incontrati e hanno tratteggiato un potente chiaro-scuro della situazione interna agli istituti penitenziari.
Già in quel contesto la situazione rappresentata ha evidenziato uno scenario difficile, con eventi simili a quelli descritti, nervosismo e chiusure nella media-sicurezza, spazi prossimi alla totale chiusura nell’alta sicurezza (pur tra qualche eccezione). In realtà, oltre alla già nota chiusura progressiva degli spazi, si deve affrontare, in molte situazioni, anche la riduzione degli orari normalmente destinati a queste e, così, ogni spazio di relazione, ogni tentativo di costruzione educativa, viene di fatto ostacolato, ridotto, marginalizzato o annullato.
Le attività culturali che dovrebbero essere il centro del percorso di reinserimento, rischiano di diventare poco più che parentesi residuali, prossime allo smantellamento. A questo si aggiunge la crescente tensione quotidiana, con gli eventi critici che si moltiplicano e non sono più solo episodi isolati, ma sintomi di un malessere continuo che non può più essere ignorato.
Anche per il personale della polizia penitenziaria la situazione è al limite: si parla di ferie ridotte a una sola settimana e il clima che si respira è quello di un logoramento generale e di rabbia. Per questo crediamo che ci si debba muovere ora, alzando la nostra voce collettiva, prima che davvero venga tolto del tutto lo spazio di agire. Il rischio non è solo quello di essere messi in un “angolo”, anche come scuola in carcere, ma che venga definitivamente meno l’idea stessa di carcere come luogo di possibilità, di cambiamento, di relazione, al centro di ogni nostra azione.
Per i docenti della Rete, istruzione e cultura non sono soltanto uno slogan con il quale fare “vetrina”, ma un “modus operandi” nella concretezza delle previste e dovute attività trattamentali.
“Il reinserimento sociale delle persone in esecuzione penale è procedimento complesso che richiede una risposta multidimensionale e non è possibile senza un cambiamento culturale intra ed extramurale. [Ciò ndr]… costituisce uno degli obiettivi del Programma nazionale 2022-2024 – Innovazione sociale dei servizi di reinserimento delle persone in esecuzione penale: cultura, sviluppo e coesione sociale, tuttora in atto [nota DAP ndr] . Segnaliamo, inoltre, la recente emanazione del decreto del Ministro della Giustizia, che nel porre in evidenza la prioritaria necessità di interventi culturali in ambito penitenziario, ha sottolineato l’importanza dello svolgimento di attività teatrali in carcere, quale strumento di riabilitazione e reinserimento, fondamentale per il cambiamento personale, culturale e sociale nel suo complesso.” (da “Lettera alla Rete e al Cesp” al Salone del Libro di Torino)
CESP-Centro Studi Scuola Pubblica
Rete delle Scuole Ristrette
Compagnia #SIneNOmine associazione Teodelapio Spoleto
ICS-ETS Istituto Cooperazione e Sviluppo-Alessandria
Libreria sociale “il Dono”- Aversa