Autonomia differenziata: siamo al rush finale?
Il 2 febbraio scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato il DDL Calderoli nel tentativo di spianare la strada all’attuazione dell’art. 116, III comma, Cost. per procedere al trasferimento delle competenze statali alle regioni non prima di aver definito i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e, per tale motivo, Calderoli ha nominato i membri della Cabina di regia che dovrà affiancare il governo nella determinazione dei LEP. Alcuni costituzionalisti spiegano che sarebbe più opportuno parlare di Livelli Uniformi in quanto i LEP sarebbero un’eguaglianza costruita sul minimo, che lascerebbe invariate le attuali e gravi diseguaglianze. Il ministro ha scelto trentotto consulenti tra cui spiccano i nomi di Mario Bertolissi, costituzionalista dell’Università di Padova, e Andrea Giovanardi, docente di diritto tributario, entrambi membri della delegazione della Regione Veneto che ha trattato con lo Stato l’autonomia differenziata nel 2018-19, Ludovico Mazzarolli, Luca Mezzetti, quest’ultimo è da diversi anni consulente del consiglio regionale del Veneto, Enrico La Loggia, ex ministro degli Affari regionali di Berlusconi e il sociologo Luca Ricolfi. Quest'ultimo è l’autore del saggio intitolato «Il sacco del Nord», teso a dimostrare che il Centro-Sud sottrarrebbe ogni anno al Settentrione 50 miliardi di euro. A contrastare gli egoismi delle aree più ricche del Paese, la cui affermazione sarebbe destinata inevitabilmente ad approfondire il solco di tutte le disuguaglianze, si è alzata preoccupata la voce dei sindaci, primi fra tutti quelli della rete Recovery Sud che hanno chiesto al Presidente della Repubblica di tutelare l’unità nazionale e il ritiro del DDL Calderoli e sollecitare i partiti a intervenire sulle disparità "anziché insistere su un progetto di Autonomia Differenziata che potrà soltanto acuirle” mettendo in lucele implicazioni negative per i comuni del sud, soprattutto per i più piccoli, sul piano delle risorse finanziarie e della carenza di personale.Grazie a una lettera inviata dal presidente dell’Anci (associazione che rappresenta quasi 8 mila sindaci) al ministro per gli Affari regionali e le Autonomie la Conferenza unificata – alla quale partecipano Stato, Regioni e gli altri enti locali – è slittata al 2 marzo in quanto i sindaci hanno chiesto “di non fare fughe in avanti su una tematica che rischia di cambiare l’assetto istituzionale del Paese”. Lo scorso 13 febbraio il Consiglio comunale di Napoli ha approvato all’unanimità una mozione affinché sia ritirato il DDL Calderoli e sia riaperta la discussione investendo Mattarella. Oltre Napoli altri consigli comunali, fra tutti ricordiamo Bologna e Roma Capitale, hanno approvato mozioni con una presa di posizione chiara e netta e un impegno concreto, in un momento in cui il Disegno di Legge del Ministro Calderoli sta bruciando le tappe di un processo che cambierà per sempre il nostro Paese, senza alcun coinvolgimento non solo dei cittadini ma neanche del Parlamento e delle altre istituzioni. Anche il Direttivo dell’Anci Basilicata, nel documento approvato nella riunione del 5 gennaio scorso, esprime preoccupazione su un assetto istituzionale che minerebbe la solidarietà nazionale e renderebbe strutturale le diseguaglianze. Ma il vero pioniere è stato Michele Conia, sindaco di Cinquefrondi (comune metropolitano di Reggio Calabria), primo comune in Italia che, nel dicembre 2018, ha adottato una delibera contro l'attuazione del federalismo fiscale e nell’aprile successivo ha avviato il ricorso contro il sistema di perequazione del Fondo di solidarietà comunale, invitando gli altri comuni a fare altrettanto e raccogliendo 600 adesioni. Nel 162esimo anniversario dell’Unità nazionale, il 17 marzo, centinaia di sindaci appartenenti alla Rete dei sindaci Recovery Sud sono scesi in piazza nel capoluogo campano ed era presente anche il sindaco di Bari Antonio Decaro puntualizzando che: "Sono qui da primo cittadino e non da presidente dell'Anci”.
Le attuali diseguaglianze sono fotografate dal rapporto SVIMEZ“Un Paese due scuole”che aumenterebbero con il crollo degli investimenti, con un calo del 30 per cento della spesa per alunno, con un meno 400 euro rispetto al Nord. Secondo l'Istituto, infatti, un bambino che vive nel Meridione frequenta la scuola primaria per una media annua di 200 ore in meno rispetto al suo coetaneo che cresce nel centro-nord. Le differenze si misurano analizzando la presenza effettiva a scuola e la possibilità di usufruire di servizi come mensa e tempo pieno. Al Sud e nelle isole sono il 79% del totale gli alunni che non hanno il sevizio mensa e solo il 18 % accede al tempo pieno contro il 48% del Centro- Nord. Un’altra criticità riguarda la presenza di palestre con la punta più alta in Calabria che sale al 83%. Una penalizzazione per il Mezzogiorno perché la mancata attività fisica a scuola unita ad altri fattori di diseguaglianza socio-economica si riflette sulle condizioni di vita: nel Meridione uno su tre è in sovrappeso, mentre al centro Nord è uno su cinque. E sullo sfondo risalta il calo demografico: tra il 2015 e il 2020 il numero di studenti il numero di studenti del Mezzogiorno si è ridotto di 250mila unità.
Ultimamente arriva una frenata anche dal ministro dell’Istruzione: infatti nella mail del 5 aprile scorso, destinata ai tecnici del Ministero per gli Affari Regionali, si legge che “il reclutamento e lo stato giuridico dei docenti e del personale scolastico sono una prerogativa statale, collegati all’art. 117 Cost. comma 2, letterage non possono essere cedute alle regioni”. I tecnici precisano, inoltre, che questo vale anche per i contratti collettivi nazionali e integrativi. Anche l’INPS, in una mail del 23 marzo scorso, fa rilevare la sovrapposizione secondo la quale se la tutela e la sicurezza sul lavoro e le tutele contributive passassero alle regioni andrebbero ad invadere il campo della materia statale. Anche i tecnici del Ministro del Lavoro hanno ricordato che “insieme al MEF hanno compiti di vigilanza sugli enti previdenziali dei liberi professionisti” e che “tali enti rientrano nella competenza esclusiva statale in quanto previdenza sociale”. Forti dubbi anche dal Ministero della Cultura secondo cui le richieste delle regioni su tutela dei beni culturali, spettacoli e cinema sono estranei alla materia “valorizzazione dei beni ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali” e preoccupazioni anche dal Ministero della Salute e dell’Ambiente e Sicurezza Energetica sugli effetti della regionalizzazione (tariffe per le professioni sanitarie, tributi speciali per il conferimento di rifiuti in discarica, ecc.). Intanto lo scorso 3 maggio l’autonomia differenziata è stata incardinata in prima Commissione Affari Costituzionali al Senato.
La tesi che l’autonomia differenziata aumenti i divari territoriali è sostenuta finanche dall’agenzia di rating internazionale Standard & Poor’s in un’analisi diffusa il 6 aprile scorso rispondendo alle domande degli investitori internazionali. Nessun conflitto d’interesse sembra ravvisarvi dalla nomina del Presidente della Commissione Fabbisogni standard, la professoressa Elena D’Orlando, che è anche componente della delegazione trattante del governo con la regione Veneto.
Un’altra novità è il varo da parte del ministro per gli Affari Regionali di una mini Costituente dando vita a un nuovo Comitato tecnico scientifico, il CLEP, acronimo che sta per Comitato per i Livelli essenziale di prestazione il comitato dei “saggi” dovrà valutare i servizi che la Repubblica italiana si impegna a fornire a tutti i suoi cittadini in cambio delle tasse. Il Comitato, che si è riunito per la prima volta il 9 maggio, è presieduto da Sabino Cassese, giudice emerito della Corte costituzionale e professore emerito di diritto amministrativo presso la Scuola Normale Superiore di Pisa. Fra gli altri 60 componenti ci sono nomi illustri, tra cui: Giuliano Amato, Presidente emerito della Corte costituzionale Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia Luciano Violante, Presidente emerito della Camera dei deputati Franco Bassanini, Presidente della Fondazione per l’analisi, gli studi e le ricerche sulla riforma delle istituzioni democratiche e sull’innovazione nelle amministrazioni pubbliche, Anna Finocchiaro, Presidente di Italia decide, Paola Severino, Presidente della Scuola Nazionale dell’Amministrazione, Anna Maria Poggi, Ordinaria di diritto costituzionale presso l’Università degli studi di Torino.
Dalle pagine di Avvenire, il mons. Savino e il cardinale Zuppi, rispettivamente vicepresidente e presidente della Conferenza Episcopale italiana esprimono le loro preoccupazioni e invitano a rispondere all’egoismo con la sussidiarietà tra i vari territori.
Dalle colonne de “Il Messaggero” del 26 aprile scorso apprendiamo che i tecnici del ministero degli affari regionali hanno inviato dei questionari alle ambasciate italiane presso alcuni Paesi OCSE in cui prevale un decentramento dele funzioni e risorse economiche. Nove i Paesi analizzati: Australia, Austria, Belgio, Canada, Finlandia, Germania, Regno Unito, Spagna e Svizzera. Tra tutte queste esperienze i tecnici del ministero sembrano prediligere il modello spagnolo in cui i Paesi Baschi e la Navarra usufruiscono di un sistema fiscale denominato “foral” che consente di trattenere interamente le imposte del proprio territorio.
L’impegno dei Cobas e di altre/i su questa partita è essenziale: non bisogna dimenticare che, una volta ratificate dal Parlamento, le intese governo-regione hanno durata decennale e non sono reversibili, se non per un recesso da parte delle regioni stesse. Per illustrare i rischi e scongiurare lo scivolamento verso un regionalismo delle diseguaglianze, in queste ultime settimane, sono stati organizzati sia convegni CESP, tra cui a Napoli e a Potenza, e sia manifestazioni di piazza in tutta la penisola dove noi Cobas siamo una presenza coerente e costante.
Carmen D’Anzi