Educare alle differenze
Tra gli atti sull’integrazione scolastica, il Documento Falcucci del 1975 si può considerare il primo in termini di significatività poiché vi si rintracciano i principi ispiratori della Legge 517/1977 e della Legge 104/1992. A leggere le norme succedutesi, sembrerebbe che la scuola italiana si sia con il tempo dotata dei dispositivi necessari affinché ognuno, nella sua diversità, sia pienamente incluso e possa raggiungere il successo formativo. Ma chi vive la scuola, da insegnante, da genitore o da studente, ed è dotato di una certa sensibilità, sa che la realtà è spesso ben diversa da quanto proclamato nei documenti e norme istituzionali. Uno dei punti di partenza di riflessione possibili è porsi la domanda se sia meglio parlare di diversità o di differenze. In prospettiva pedagogico-didattica, i termini “diversità” e “differenza” non sono sinonimi. La diversità implica il confronto con l’altro rispetto alle sue abilità intellettive o psicomotorie, ma anche in relazione ai suoi tratti fisici o al suo comportamento culturale, mentre la differenza è il risultato della soggettività umana, quindi un dato di fatto: ogni persona è differente dall’altra. Una prospettiva veramente inclusiva richiede di riconoscere tutte le differenze attraverso una concezione del vivere sociale scevro da pregiudizi e da atteggiamenti giudicanti. Focalizzare gli interventi educativi sulla sola diversità facilmente conduce a trascurare ciò che accomuna le persone e a rafforzare le distanze e gli stereotipi. Basta porre l’esempio delle diversità culturali di cui è necessario ricercare le connessioni se non si vuole correre il rischio di sfociare nel “razzismo differenzialista”: porre enfasi sul valore di ogni cultura può innescare la paura che la propria identità culturale e i propri valori siano minacciati dal mescolamento o dall’omologazione.
Nella scuola, luogo deputato alla crescita civile e culturale, numerosi alunni hanno una limitata possibilità di tradurre i loro diritti in realtà effettiva e si trovano in condizioni di vulnerabilità. Spesso assistiamo ad atteggiamenti, pratiche didattiche e modelli organizzativi che creano esclusione. Emerge la necessità che ogni azione educativo-didattica sia rivolta a tutti gli alunni e a tutti i livelli. Si prenda il caso dell’educazione interculturale che rimane una pratica marginale in quanto si tende ad attivarla solo nelle scuole ad alta concentrazione di alunni con background migratorio. Ma il tessuto sociale richiede che ognuno sia educato all’interazione costruttiva tra culture differenti, tra minoranze e maggioranza, tra migranti e autoctoni. Basti pensare che proprio questi ultimi, in quanto appartenenti alla maggioranza, con il loro agire condizionano l’esistenza della minoranza. L’educazione alle differenze va intesa come lo spazio della relazione e dell’incontro in cui imparare a superare le dicotomie Noi-l’Altro/gli Altri, Uguali-Diversi. Su queste dicotomie agiscono i processi di categorizzazione e generalizzazione che generano stereotipi e pregiudizi. Sono forme di scorciatoie di pensiero che permettono di ridurre fenomeni complessi rendendoli più comprensibili, e di rapportare a schemi concettuali di riferimento ogni nuovo incontro. Pochi elementi divengono sufficienti per attribuire ad una persona le caratteristiche che si presuppongono siano del suo gruppo di appartenenza e ciò conduce facilmente ad assumere atteggiamenti discriminatori, e al razzismo nel caso del pregiudizio etnico. «Noi siamo e diventiamo come gli altri ci vedono e dicono di vederci […]. Il nostro giudizio sugli altri si innesca ben prima di ogni ponderata cognizione. È facile, economico e meno faticoso catalogare il mondo in maniera rigida e applicare “occhiali” di lettura della realtà pronti per l’uso. Così, ad ogni nuovo incontro, a partire da pochi tratti immediatamente colti nell’altro, noi operiamo previsioni sulle sue qualità e sul suo possibile comportamento […]» (Favaro, 2002: 143).
Stereotipi e pregiudizi orientano l’azione nei riguardi dell’Altro pesando fortemente sulla costruzione della sua identità ed esercitando un forte potere sulla sua vita. Si manifestano sotto forma di discriminazione, marginalizzazione, rifiuto, esclusione, stigma e rendono vulnerabile chi ne è soggetto poiché la sfera sociale e relazionale, ma anche lo stato di salute fisica e psichica, ne subiscono conseguenze. Lo stigma trova radici profonde in un substrato culturale che è alla base delle attuali rappresentazioni sociali della disabilità e della diversità. Dalle cosiddette Wunderkammer del XVI secolo, ai Freak Show del XIX e XX secolo, agli odierni talk show televisivi, l’esibizione di “fenomeni da baraccone” ha sempre conquistato le scene. «Ciò che si palesa con le fattezze dell’alterità (alter) […], non essendo riconducibile alla norma, è presentato e diviene alius (alieno, irriducibile) e, per questo, perturbante. […] L’Altro (Alius) diviene così il mostro per eccellenza, l’oggetto (non più soggetto) che segna il confine tra l’umano e il non umano» (Bocci & Guerini, 2022: 18-19). La scuola non è esente da categorizzazioni: se da una parte sono diffuse etichette (H, BES, DSA, ADHD, DOP …), dall’altra vengono adottate pratiche di assimilazione e normalizzazione verso coloro che si discostato dal modello della normodotazione o della neurotipicità. Prevaricano le prospettive diagnostico-medicalistiche riscontrabili nelle risposte compensative e dispensative per normalizzare coloro i quali si trovano nella categoria dello “svantaggio scolastico”, cioè gli alunni definiti con Bisogni Educativi Speciali, secondo quanto previsto dalla Dir. ministeriale del 27 dicembre 2012.
I mercati finanziari condizionano pesantemente la società che deve essere produttiva e fondarsi sulla competizione, sulla prestazione e sull’abilismo. Risulta difficile immaginare come sia possibile realizzare l’inclusione nella scuola se essa stessa dipende da un Ministero denominato “dell’istruzione e del merito”. Volontà, forza e determinazione sono gli ingredienti necessari per avere un ruolo all’interno di qualsiasi contesto sociale, ivi compresa la scuola, e la conditio sine qua non è riuscire ad essere performativi. «Abitiamo ancora una società costruita e immaginata su base abilista, che valorizza ciò che è sano, bianco ed eterosessuale a discapito di ciò che vi si discosta (con una lettura di gravità crescente al crescere del valore di discostamento misurato o percepito)» (Bocci & Guerini, 2022: 21).
L’educazione alle differenze richiede di accompagnare gli alunni a scoprire sia la propria identità nelle sue diverse dimensioni, sia le molteplici appartenenze di cui ognuno è permeato, ma anche a comprendere che l’identità non è statica e invariabile, ma muta, essendo il risultato dell’intreccio di relazioni intersoggettive che ci fanno vivere diverse esperienze nel corso della vita. Comprendere che identità e appartenenze non sono immutabili favorisce il superamento di stereotipi, pregiudizi e dicotomie “noi/gli altri”, verso la costruzione di identità aperte per poter interpretare la realtà in senso critico e solidale. È necessario interrogarsi sugli stili comunicativi dell’insegnante, cioè sui messaggi più o meno formalizzati, definiti “curricolo nascosto”, che influiscono sulla formazione delle pratiche sociali degli allievi. Si tratta di comportamenti «connotati da contenuti valoriali, che risultano particolarmente efficaci, pur essendo trasmessi in modo implicito. […] Essi contribuiscono, in termini di convinzioni, atteggiamenti, aspettative, motivazioni, a determinare le caratteristiche della vita della classe, condizionando così l’apprendimento» (Catarci, 2006: 192).
Per educare alle differenze alcune pratiche didattiche sono molto potenti. Ad esempio, la narrazione autobiografica può costituire il mezzo attraverso il quale scoprire sia l’unicità e la differenza della propria storia, sia la relazione con le altre, ma anche per spiegare la propria esistenza in base all’incontro con l’alterità. Tra le discipline, la Storia risulta essere ambito privilegiato in quanto «può dotare gli individui di corretti ed efficaci strumenti cognitivi di indagine del presente e del passato, atti a generare conoscenze e comportamenti altrettanto corretti ed efficaci per la dimensione della cittadinanza. L’analisi storica permette di conoscere altre realtà, altri sistemi di vita e di pensiero, prossimi o distanti nel tempo e/o nello spazio; consente di porli in relazione tra loro e con il mondo dell’osservatore, ponendo in evidenza i punti di contatto e di intersezione» (Perillo, 2010: 9).
Inoltre, è fondamentale compiere un’analisi dei testi scolastici, spesso intrisi di etnocentrismo e stereotipi, e rilevare i possibili punti di vista diversi tramite un approccio decostruttivo, nonché proporre letture che sovvertano gli stereotipi per accostarsi a modi di essere e di pensare differenti. «A quando una società che contempla anche la bellezza della cosiddetta inutilità (cosiddetta secondo i parametri del mercato, dell’abilismo e della meritocrazia) non come una anormalità o un difetto ma come uno, tanti, anzi infiniti, modi di essere (per davvero e non solo a parole) umanamente diversamente differenti?» (Bocci & Bonavolontà, 2020: 103).
Bruna Sferra
Riferimenti bibliografici
Favaro G. (2002). Mediazioni e intrecci di culture. Percorsi di didattica interculturale, in Demetrio D. e Favaro G., Didattica interculturale. Nuovi sguardi, competenze, percorsi, Franco Angeli, Milano, pp. 108-147.
Catarci M. (2006). L’inclusione dell’altro. Una ricerca sulle strategie di costruzione di una didattica interculturale, in Santarone D., Educare diversamente. Migrazioni, differenze, intercultura, Armando, Roma, pp. 187-214.
Perillo E. (2010). Storie plurali. Insegnare la storia in prospettiva interculturale, Franco Angeli, Milano.
Bocci F, Bonavolontà G. (2020). Un’altra società è possibile? Ovvero: Il Circo della Farfalla, metafora del valore della diversità o dei corpi produttivi? in Bocci F. e Straniero A.M., Altri corpi. Visioni e rappresentazioni della (e incursioni sulla) disabilità e diversità, RomaTre-Press, Roma, pp. 91-103.
Bocci F., Guerini I. (2022). Noi e l’Altro. Riflessioni teoriche nella prospettiva dei Disability Studies, in Bocci F.[et al.] (a cura di), Le epistemologie nascoste. La costruzione del soggetto vulnerabile nell’immaginario educativo italiano. Un approccio grounded, RomaTre-Press, Roma, pp. 17-33.